Opere su carta

Manuela Cusino ha svolto un immenso lavoro di verifica, selezione e catalogazione di più di 500 opere di grafica e acquarello lasciati da Valeria a suo fratello Angelo o in possesso di collezionisti: un patrimonio che Valeria in realtà non ebbe mai modo di ordinare.

Manuela, che aveva già seguito Valeria in vita, anche con presentazioni di mostre, è riuscita con questo tenace e devoto lavoro, prima puntigliosamente analitico e poi di mirabile sintesi, a organizzare una classificazione che a posteriori ci sorprende per apparente veridicità. Nei suoi testi mette in evidenza i fili conduttori della fitta trama di lavoro di Valeria proponendoci anche, da quel grande magazzino di informazioni e deduzioni che ha acquisito, alcuni esempi di connessioni e parallelismi fra le stesse opere grafiche e quelle ad olio, azzardando anche la convinzione che l’opera ad acquarello abbia rappresentato il culmine della maturazione artistica di Valeria. Molti caratteri di pazienza, tenacia e amore accomunano le due persone.

INDICE degli argomenti

Premessa | di Manuela Cusino |
Corrispondenze tematiche e cronologiche tra disegni di nudo, quadri e sculture | di Manuela Cusino |
L’incisione all’interno di un’esercitazione tematica | di Manuela Cusino |
Musicalità, armonia e contrappunto: dalla forma circolare «luce-sole» all’iconografia «angelica» | di Manuela Cusino |
Un percorso preannunciato | di Manuela Cusino |
Viaggio verso l’ineffabile. Analisi cronologica della produzione ad acquarello e tecniche miste di Valeria Ciotti dal 1966 al 1994 | di Manuela Cusino |
Acquarelli e tecniche miste. Lo sviluppo coerente di una cosmogonia accennata e sviluppata per blocchi nella produzione pittorica | di Manuela Cusino |


Premessa

Manuela Cusino


Disegni, incisioni e pastelli nonché i lavori ad acquarello vengono comunemente considerati nell’ambito della produzione artistica quali specifiche varianti di un’unica facies tecnico-poetica, quella propriamente denominata tecnica grafica. In tale produzione, il segno nella sua specificità vale quanto il colore nella produzione pittorica.

Nel nostro caso, il segno è indice di una facies tecnico-poetica molto particolare, metafora del processo creativo, dell’a priori e a posteriori che conducono e permeano tutta la ricerca dell’artista.

Infatti per Valeria Ciotti la produzione grafica, eccezion fatta per quella ad acquarello, non occupa un posto a sé stante, non costituisce un mondo pari a quello della produzione scultorea e pittorica, ma lo affianca come umile servitore nel suo continuo cercare.

La produzione grafica rappresenta metaforicamente la poetica di Valeria Ciotti: svelamento al servizio dell’apparizione. Pertanto questa produzione tutta giocata al servizio della restituzione pittorica dell’idea e dell’aura poetica, è in sé stessa decisamente poca cosa, ovvero semplice servizio, se paragonata al tutto che ogni opera compiutamente offre al riguardante.

Se affrontassimo liberamente (al di là di posizioni critiche preconfezionate) la visione d’insieme della produzione di Valeria Ciotti e del suo iter, dalle prime sculture alle pitture e agli acquarelli, ci renderemmo conto che il segno, lievemente cadenzato da ombreggiatura grazie ad un minore o più corposo posare della mano, è stato in grado di sviluppare, nel suo a priori, il frutto della materia, corposa e quasi invadente nel suo porsi. Intendiamo per materia la condensazione dell’idea in aspetto tangibile, quale ad esempio nella rotondità scultorea, o nella percezione a rilievo della pellicola pittorica. Una materia invece appena evocata e tutta racchiusa nel suo involucro, quella specifica della produzione grafica. Una specie di creazione in bozzolo illuminata da una forza che è quella di chi suo malgrado (al di là di un’operazione volontaristica), ovvero quasi in modo naturale, è in grado di vedere tra le trasparenze sovrapposte, cioè tra le facili trasposizioni di significato di un fiore, di un elemento solare, di una superficie di luce o di un battito di ali colorate, il gioco della relazione tra il piccolo infinitesimale e il tutto-grande: il panta rei.

Valeria Ciotti è in grado di vedere in trasparenza in un solo lavoro tutto ciò che è stato prima di quello e ciò che verrà… probabilmente non ne è così cosciente ma lungo il percorso a poco a poco le varie sfumature di questo svelamento si compongono e si definiscono, come ad esempio nella produzione su carta con interventi a collages: ancora una lieve, aerea e libera invasione della materia.

Il segno grafico che comunemente permette di entrare all’interno dell’idea creativa restituendole corpo è stato in questo caso un esempio di fedele servizio, di gesto suggerito, quasi guidato, verso la profondità che anche una semplice forma è in grado di esprimere. Egli prese una costola e… creò Eva. La creazione è avvenuta tramite un segno primario, un arco, una forma ovale che si è aperta alla vita.

La produzione grafica di Valeria Ciotti ci indica dunque la strada di un percorso in salita, di ascesi, che, attraverso lo sviluppo di una realtà che è già data in tutta la sua pienezza, vale a dire quella tangibile, visibile agli occhi di chi guarda (l’oggetto reale, il fenomeno), a poco a poco perde in orpelli, in fisicità, ritorna cioè a puro segno per riavviare il percorso della corporeità creativa. Dalla forma al segno, dal segno alla forma (dalla realtà all’arte, dall’arte alla realtà).

Corpi della creazione: la scultura e la pittura. Una tutta rivolta al tatto, l’altra al tatto e alla vista.

Se esaminiamo alcune semplificazioni segniche a rolla su carta da spolvero, ci rendiamo conto che lì è contenuto il tutto della produzione, di lì la scultura, la pittura e la produzione ad acquarello che segue come un filo sottile, ora facendosi maestra, ora allieva, tutto il percorso evolutivo dell’artista. Una specie di cartina di tornasole attraverso cui rileggere le altre sperimentazioni tecniche ed ancorare la ricerca al solo concetto dell’apparizione.

L’astrazione è il risultato a cui l’artista arriva dopo un continuo lavoro di passaggi, a volte acerbo, a volte decisamente vezzoso, tra descrittività ed evocazione.

Il disegno sta alla produzione pittorica di Valeria Ciotti, come la produzione ad acquarello ai risultati più astratti della sua poetica pittorica.

Un segno immerso nell’acqua, che si snoda, diventa realtà e ritorna al suo esistere sottilmente sensibile, come se la corporeità della materia cedesse il posto alla liquidità delle zone cromatiche, della mescolanza fluida, liquido primigenio creativo, fecondo di nuova realtà…

Bisognerebbe essere in possesso di opere diversamente astratte per non accorgersi che sempre, anche nelle soluzioni più azzardate, l’astrazione di Valeria Ciotti evoca la materia di cui però è al tempo stesso consapevole passaggio verso un oltre.

Mai un rifiuto a priori di ciò che possiamo definire materico; basti pensare a quelle risoluzioni gocciolanti di magma cromatico, a quegli inserti di fisicità dichiarata negli acquarelli, fili sottili che ci parlano di un percorso, di un’ascesi, non di una battaglia vinta a priori.

Un percorso a volte quasi silenzioso, ma ugualmente sofferto di cui raramente si ama parlare anche ai tecnici di mestiere.

Ricordo che dovetti recarmi una seconda volta nel suo studio per vedere ciò che ben intuivo ella volesse mostrarmi, ma solo dopo.

Dopo una ricerca di perché, di come; un passo oltre la scorza della fisicità dura, eppure trasparente e rilucente se è essa stessa a ricoprire un corpo ed un’anima in ricerca.

Parlare dunque della produzione grafica di Valeria Ciotti equivale ad avventurarci in un cammino prima dello svelamento e al tempo stesso già oltre, poiché dal segno è partita la ricerca e al segno essa è ritornata. L’artista docile mezzo al servizio dell’evocazione ha giocato la sua partita.

Ora tocca a noi, al pubblico, avventurarci con libertà e distacco lungo questo percorso di segni: dolci ed aspre pastosità pastellate, ora semidure linee incise sulla carta, ci condurranno sino alla forza tutta autonoma della creazione acquarellata.

NOTA. La titolazione di alcuni lavori su carta non autografi fa riferimento alle ipotesi di titolo indicate dal critico Lodola, in quanto ritenute più significative nell’esamina dell’intera produzione dell’artista. Nei testi in cui si faccia riferimento alla produzione ad acquarello, nelle serie Trasparenze e riflessi ed Elementi dendrometrici l’esatta successione cronologica risulta leggermente modificata per ragioni tematiche, come attesta la dicitura *oggetti d’acqua, terra, e cielo.

Corrispondenze tematiche e cronologiche tra disegni di nudo, quadri e sculture

| di Manuela Cusino |

All’interno dell’esamina dei documenti grafici datati e non datati dell’artista vale la pena riservare una nota particolare ad una serie di lavori eseguiti a rolla e a carboncino su carta pane scura, molto simili per dimensioni (32,5 x 48 cm quelli datati 1950, 32 x 29 cm quelli datati 1952). La datazione autografata dall’artista e la resa stilistica, corrispondente ad una fedele e veloce restituzione della posa della figura nel caso dei nudi, così come dell’espressione del volto, nel caso dei ritratti, ci permettono ipotesi significative sulla produzione grafica di Valeria Ciotti, a partire dagli anni dell’Accademia, quindi nell’arco degli anni 1952-1965, sino alla produzione corrispondente alla nuova iscrizione accademica per il corso di pittura, dove l’artista affianca alle copie dal vero per i quadri di natura morta, una rivisitazione grafico-scultorea della prima produzione accademica, allora strettamente funzionale al corso di scultura, ora decisamente innovativa per forza segnico-spaziale.

In altre parole, Valeria lavora con il segno come se sotto le sue mani fosse la materia inerte a vivificarsi attraverso un gesto preciso e ormai noto.

I lavori a cui facciamo riferimento sono i due ritratti di vecchio |Dis•ritratti 01, 02|, eseguiti a rolla, uno con la figura ritratta di tre quarti e l’altro con la figura posta frontalmente.

Il tratto espressionistico, rimarcato secondo una tecnica che ricorda quella xilografica, risulta estremamente efficace nel ritrarre, attraverso rughe e pieghe profonde della pelle, l’espressione del volto. Assorto e rivolto in profondità è lo sguardo raccolto dalla forma degli occhi. Stessa tecnica e supporto, quasi identiche dimensioni, nel disegno di nudo (fig. 1) molto vicino al disegno (fig. 1a) per taglio di seduta e mancanza di definizione del volto. A questi esempi dobbiamo avvicinare due disegni che, anche senza data e firma, sono probabilmente l’antecedente progettuale del quadro |Oli•050| del 1972 non reperito. Il ritrovamento di questi due disegni |Dis•nudi 36, 46| (tav. V), entrambi a rolla su carta pane scura, è stato molto significativo per presupporre che a cavallo degli anni 1965-1970 l’artista eseguisse quadri di nudo rielaborando in parte l’archivio mentale e tecnico messo a punto durante la formazione accademica nel corso di scultura. Nel primo dei due disegni la versione del nudo che comparirà nel quadro è completa, tranne che per la raffigurazione del capo che invece, ritroviamo, anche se con la donna ripresa solo fino al ginocchio, nel disegno in fig. 2. È bene inoltre considerare che l’archivio mentale a cui facevamo riferimento è in realtà per Valeria Ciotti una porta aperta sul mondo reale e sulla sua rielaborazione artistica. Basti pensare a quante volte nella pittura, come nell’incisione, la natura, i boschi (|Inc•flora 04, 05|), i fiori (|Dis•alberi 10|; |Inc•flora 07, 08, 11|; |Dis•nature 06, 07, 08|), o la superficie trasparente dell’acqua (|Inc•acque 01, 04, 05|; |Dis•acque 01|) siano stati restituiti sinteticamente solo dopo un’analisi attenta, quasi al microscopio, delle relative varianti. Così esaminando alcune fotografie scattate a Valeria nel corso di quegli anni, ci accorgiamo che la posizione da lei assunta nei confronti della macchina fotografica è una posizione naturalmente scultorea: un modo di porsi, di sentire; in altre parole, di essere. Prova di un circuito senza soluzione di continuità tra ideologia e prassi, tra ideale e reale. Una coerenza quasi d’obbligo per chi naturalmente la coltiva nel proprio cuore.

All’archivio mentale messo a punto durante la prima frequentazione dell’Accademia, Valeria ricorse più volte nel corso degli anni seguenti, anche a distanza di molto tempo. La precisione di alcune riprese gestuali ed anatomiche ben attesta la sua connaturata memoria segnico-visiva. Se ad esempio per alcuni quadri di nudo abbiamo un riferimento a modelle che posarono contestualmente all’esecuzione pittorica (es. |Oli•082| del 1975), in molti altri casi, furono le reminiscenze accademiche, accanto allo studio del proprio corpo o di quelli che ogni estate poteva osservare sulle spiagge di Riccione (|Dis•nudi 48|, tav. IX), a condurre il segno scultoreo dei disegni che accompagnano fedelmente quasi tutta la produzione pittorica del nudo. La natura per così dire scultorea di questi disegni è confermata dalla mancanza di definizione del volto con cui spesso si presentano; sono infatti i volumi ad interessare Valeria e non le particolarità fisiognomiche. Così le posture della figura sono fermate sul foglio per lo più attraverso particolari anatomici o zoomate che alludono ad un uso del foglio quale schermo continuo, al di là del quale la figura vive la sua realtà fisica e corporea. È come se il foglio non bastasse mai all’artista per fermare un corpo che in realtà è pensato quale materia concreta, scultura vibrante.

Ai venti nudi della produzione ad olio, compreso |Oli•043| in cui la figura, anche se vestita, è per tipologia e impostazione associabile alle donne raffigurate in altri lavori, possono corrispondere almeno diciotto importanti disegni, di cui tre sicuramente datati. Si tratta di |Dis•nudi 23| del 1973, quindi delle due versioni preparatorie all’olio (fig. 4), la prima, a pastello (fig. 3), firmata, e la seconda (fig. 5) datata e firmata 1971. Accanto a questi esempi, alcuni disegni datati e firmati 1951 utili per collegamenti con i quadri: si tratta rispettivamente del disegno |Dis•nudi 01| per i quadri |Oli•044| del 1971 e |Oli•073| del 1973, e dei disegni |Dis•nudi 02, 03, 04| datati e firmati 20 e 21.12.1951 per il quadro del 1975 |Oli•079|. Trattasi di un lavoro pittorico molto vicino alla sculturina realizzata negli anni accademici |Scultura•06|.

Fanno eccezione per mancanza di riscontro grafico |Oli•038| c. 1970 e |Oli•082| del 1975.

È comunque da notare che per |Oli•043| del 1971 si possono confrontare i disegni preparatori (figg. 6, 7, 8) dell’Anima mundi |Oli•022| del 1968, un quadro che per inserimento paesaggistico e postura corporea rappresenta una summa, precocemente datata, della ricerca panica dell’artista.

Prendiamo in esame dunque, a titolo esemplificativo della produzione grafica dei nudi, tre bellissimi disegni a carboncino e a rolla su carta pane scura, riferibili ai rispettivi quadri del 1970 |Oli•041| (fig. 10), |Oli•039, 040|.

Il primo disegno a carboncino (|Dis•nudi 35|), è una restituzione fedele dell’impianto generale e dei particolari del quadro. Si confronti, per lo studio della mano appoggiata sulla gamba della donna, il disegno in fig. 9.

In particolare nel |Dis•nudi 35| leggiamo la forma semicircolare che fa da confine alla posizione supina della figura tutta raccolta e con la mano destra in grado di reggere la tensione di chiusura ed allineamento delle gambe sulla verticale centrale della composizione. La mano sinistra è semplicemente appoggiata sulla regione volare del gomito destro. Nel disegno la definizione dei piedi e delle mani non appare anche se si legge chiaramente la tensione del braccio destro. Compare invece una linea verticale proprio al centro dell’immagine che attraversa per metà il corpo femminile: una costante in molte composizioni grafiche al fine di centrare il soggetto della raffigurazione. Interessanti le due linee di definizione dei piani del fondo, una a livello della posizione della mano sinistra, e l’altra della mano destra. Da notare che queste linee sul fondo, a volte orizzontali e intercalate da altre leggermente arcuate, sono un’altra costante di molte composizioni di nudo come nel caso di |Oli•036| del 1970 o del |Dis•nudi 23| datato e firmato 11.01.’67, già citato o del |Dis•nudi 10| del 1951 circa; esse valgono in realtà quale definizione di piani paralleli ma al tempo stesso intercambiabili, come se dunque fosse possibile vedere la scena frontalmente e contemporaneamente a 360 gradi, una caratteristica della visione panica dell’artista, e del Leitmotiv del riflesso. Una stessa scena può essere vista anche al contrario, ovvero possiamo capovolgere alcuni quadri, e il risultato non cambia: ora guardiamo a partire dal reale, ora a partire dalla zona del reale-riflesso (|Oli•124|, tav. n. XII).

Il secondo disegno eseguito a rolla (|Dis• nudi 33|, c. 1970), differentemente dal quadro a cui si riferisce (|Oli•039), nonostante la figura femminile compaia sempre nella medesima disposizione, cioè distesa, rappresenta un momento di maggiore abbandono del corpo della donna, con il capo reclinato sul braccio destro proprio sulla stessa linea del fianco. I piedi sono infatti un po’ più vicini alla natica destra di quelli ripresi nel quadro in cui la figura è maggiormente rannicchiata: la testa poggia sul braccio, questa volta disposto in diagonale.

Nel terzo disegno a carboncino (|Dis•nudi 34|, circa 1970), il confronto con il quadro |Oli•040| è preciso, sia nella posizione alta del capo, che nella piega del ginocchio e delle natiche sulla destra dell’immagine. Nel disegno non compare la forma del piede in primo piano. Utili a questo proposito confronti con altri disegni come ad esempio Studio di piedi |Dis•nudi 17| con scritta autografa, datato circa 1954, in cui Valeria dimostra, parallelamente alla realizzazione scultorea, la sua abilità nell’eseguire i tratti caratteristici delle estremità sia dei piedi che delle mani. A volte la grafica pare più precisa nella definizione di mani o piedi, di quanto non avvenga nella pittura (figg. 11 e 12), ma è vero anche il contrario, come nel caso del |Dis•nudi 34| appena citato. Si può dunque supporre che l’artista, nonostante lavori parallelamente sullo stesso tema, spesso con disegni preparatori ai quadri, conservi pur sempre, nei confronti di entrambe le tecniche, un’autonomia di fondo: ogni lavoro è una produzione a sé, con una propria vita e un proprio valore ( |Oli•073| del 1973, |Dis•nudi 43, 44| circa 1971) (tav. VIII). Senza d’altra parte nulla togliere alle considerazioni più specifiche sin qui condotte in grado di attestare la natura profondamente scultorea di molti dei disegni esaminati.

L’incisione all’interno di un’esercitazione tematica

| di Manuela Cusino |

Quando parliamo di esercizio all’interno di un tema, non intendiamo giammai, nel caso di Valeria, un puro esercizio di stile o di tecnica, quanto un’indagine compiuta ed osservata nelle sue varianti, una specie di circumnavigazione del soggetto, secondo tagli, prospettive e sintesi sempre più complesse e complementari. Ecco perché accanto al disegno, l’esercizio dell’acquaforte, intrapreso al momento della sua iscrizione all’Accademia, nel 1965, sotto la guida del maestro Mario Calandri rappresenta una tappa fondamentale per comprendere non solo una fase esistenziale particolarmente felice per l’artista, riappropriatasi del «mondo della sua nostalgia», come ama ricordare Angelo Ciotti, quanto la sua connaturata e poi, pazientemente sviluppata (basti citare i numerosi bozzetti d’arredo realizzati nel periodo di stacco dall’Accademia) abilità descrittiva e narrativa. È infatti difficile trovare una mano all’opera in grado di coniugare queste due valenze del segno: spesso la descrizione può avere la meglio sulla narrazione o viceversa. Perfetto invece l’equilibrio raggiunto dall’artista, specie nei lavori datati compresi tra il 1970 e il 1975, un periodo in cui il tema della natura e delle trasparenze, così caro a Valeria, trova una risoluzione felice nei lavori premiati in molte delle più importanti città italiane, da Roma, nel ’70 con l’acquaforte «Favola» |Inc•flora 06|, in cui nascostamente, tra il brulicare intenso della magia di un prato, compare un volto di fanciulla, a Genova, nel ’71 con l’acquaforte «Il bosco» |Inc•flora 04|. I temi sono proprio quelli che ritroviamo, o negli stessi anni o in quelli immediatamente successivi, sia in pittura (come nel caso di «Goccia» del 1975 |Oli•102|, opera già citata) che nella produzione ad acquarello o ad incisione (cfr. «Conchiglie» del 1975 |Inc•acque 06|, e la serie ad acquarello Trasparenze di un decennio successivo 1985-86).

La maggiore o minore densità del segno, la precisione o gestualità dinamica della mano dell’artista, le permetteranno di preparare incisioni intimamente legate ad alcuni quadri o che da essi trarranno ispirazione (cfr. |Oli•011| del 1967 con |Inc•acque 01| e |Inc•acque 04| con |Inc•acque 05| del 1971; cfr. |Oli•068| del 1973 con |Inc•acque 07| del 1975) in un continuo rimando poetico di temi e soluzioni formali, dove il disegno preparatorio all’intervento sulla lastra illustra metodicamente la serietà d’indagine del lavoro (cfr. |Dis•conchiglie 01-05| circa 1975 con |Inc•acque 06| del 1975; cfr. |Dis•primavera 01, 02, 03| con |Inc•paesaggi 03| 1971; cfr. |Dis•nature 06| circa 1972 con |Inc•flora 13| 1972).

Il tema del paesaggio con le sue diverse soluzioni, da quelle più luministiche con luci improvvise o fuochi, a quelle più composite intrecciate di sole, alberi e riflessi, sino a quelle decisamente astratte, completamente giocate sul filo della diffrazione, è per certo un Leitmotiv nella produzione di Valeria Ciotti, a cui il versante grafico-incisorio può offrire sicuramente nuovi spunti di analisi e riflessione.

Partiamo dall’esame del quadro |Oli•009| del 1967 circa e del rispettivo disegno |Dis•paesaggi 04| a pastello su carta, in grado di restituircene non solo l’impalcatura costruttiva ma l’intensità luministica. Si tratta di veri e propri bagliori, artificiali o natural-vulcanici, anche se questa differenziazione pare poco importante di fronte all’intento finale dell’artista: permettere al nostro sguardo di essere catturato dalla tonalità scura e magmatica dello sfondo e contemporaneamente essere trascinato nel vorticoso aggrovigliarsi di elementi rosso-fuoco, in un’atmosfera quasi incandescente.

Una luce improvvisa nel pieno della notte o quella appena iridescente dell’imbrunire (cfr. incisione «A sera» |Inc•paesaggi 01|, circa 1968, e disegno preparatorio |Dis•paesaggi 05| ), così come quella tutta giocata su un fondo blu intenso nel pastello Luci |Dis•paesaggi 07| circa 1970, è fermata e bloccata dalla mano dell’artista come se si trattasse di un cuore pulsante. L’incisione ed il pastello a cui facciamo riferimento ci riportano alle parole con cui Renzo Guasco nel 1987, in occasione alla presentazione di alcuni lavori ad olio di Valeria per la mostra presso la «Galleria Il Mercante» di Milano, affermava: «…dalla finestra della piccola cucina Valeria può osservare il corso del Po, dalla finestra dello studio la collina. Mi dice di rimanere a lungo, la sera, a guardare la collina dalla finestra. In questi quadri, davanti ai quali qualcuno potrà avere l’impressione di non riconoscere niente, la natura è sempre presente…»

Proseguendo nell’esamina delle soluzioni più composite, intrecci di sole, alberi e riflessi giocano tra di loro in un continuo rimando di espansione circolare dell’elemento luminoso, ora quale elemento naturale, palla infuocata, corolla iridescente, chioma brulicante di vibrazioni fogliacee [vedasi fig. 1; |Oli•065| 1973; |Oli•053| 1972; |Oli•136| 1986; fig. 3, con rispettivi disegni preparatori |Dis•primavera 01, 02 (fig. 2), 03|; fig. 4, con rispettivi disegni preparatori |Dis•primavera 04 (fig. 5), 05|], ora quale elemento vitreo artificiale, rosone architettonico, gioco costruito dalla mano dell’uomo (fig. 6 e |Oli•127| circa 1985, entrambi vicini al disegno in fig. 7, su unico foglio di carta).

Le soluzioni paesaggistiche più astratte si propongono attraverso una singolare caratterizzazione del tema del riflesso sin qui analizzato. Nel caso specifico riferibile all’opera dal titolo attribuito, in modo significativo, Diffrazione (circa 1981, fig. 8), l’esercitazione grafica a pastello |Dis•paesaggi 08| si pone come tappa preliminare di uno studio successivamente approfondito nella prova a matita e carboncino (fig. 9) e nelle due acquaforti |Inc•paesaggi 07, 08|. Una forma vagamente ovoidale, che richiama alla memoria simbiosi brancusiane, delinea un orizzonte virtuale riproponendo il tema del ribaltamento della visione e della sua validità rappresentativa. Più volte abbiamo affermato quanto la visione dell’artista sia una visione completa. Molti lavori anche se capovolti continuano con forza e coerenza a dichiarare la loro pregnanza poetica. Il lavoro a pastello citato |Dis•paesaggi 08|, con indicazioni numeriche chiaramente riferibili alle prove di stampa, diventa una vera e propria velina per scoprire il procedimento minuzioso e preciso con cui Valeria lavora scegliendo il mezzo tecnico più efficace a seconda dei risultati da ottenere. Esaminando con attenzione questo disegno a pastello notiamo che all’insieme astratto-geometrico del paesaggio, dato per intero, come poi comparirà nelle due incisioni leggermente variate l’una dall’altra per tratteggio di spazi del fondo (più statica la soluzione |Inc•paesaggi 08|, decisamente più brulicante la prima |Inc•paesaggi 07|, nel disegno a matita e carboncino fig. 9), corrisponde stranamente una messa a fuoco ravvicinata del punto preciso in cui i piani della diffrazione si incontrano generando zone più o meno scure. La soluzione è rappresentata da un segno estremamente gestuale, quasi scultoreo, molto vicino a quello riproposto dall’opera pittorica che noi intendiamo leggere nel verso 80 x 70 cm, come il titolo suggerito da Lodola indicherebbe. Ora è ben difficile stabilire se lo studio grafico abbia preceduto quello pittorico; sicuramente si tratta di due varianti dello stesso soggetto: una osservata da lontano, e un’altra molto ravvicinata, quasi che l’artista prendesse parte all’evento. È questa partecipazione dal di dentro del fenomeno, che fa pensare e riflettere. Valeria opera come se conoscesse a fondo le leggi scientifiche della visione, e di questa le più lievi varianti, e tuttavia non ci risulta che avesse svolto particolari studi in questo senso. Una naturale dunque, connaturata dimestichezza con questi fenomeni che trova le sue premesse in una sensibilità attiva, in una raffinata osservazione ed un ascolto molto simile a quello del mistico che, lasciato libero spazio dentro di sé, accede a misteri e conoscenze inaspettate. La capacità di svelare è frutto di un cammino a cui l’uomo rende docile la propria mano e il proprio cuore, un binomio che l’attività incisoria, per quella particolare ricerca di piani e trasparenze, ci rende tangibile coerentemente a quanto avviene nella restante produzione dell’artista.

Musicalità, armonia e contrappunto: dalla forma circolare «luce-sole» all’iconografia «angelica»

| di Manuela Cusino |

Sembrerebbe il titolo di un viaggio e proprio di un iter, per così dire spirituale, si tratta. Il punto di partenza è nel lontano novembre del 1952 quando Valeria si autoritrae in un lavoro a carboncino (fig. 1): numerose le prove di firma sulla metà inferiore del disegno, significativi due segni crociati sull’ovale del volto accanto ad alcune chiavi musicali di violino, una di esse proprio con l’attacco sulle labbra serrate. Sul lato sinistro del viso l’accenno ad un pentagramma e poi un nome sottolineato, probabilmente un cognome, per ora a noi sconosciuto. Sul retro dello stesso foglio due prove grafiche di occhio, la prima in alto vicinissima per sviluppo globulare particolarmente sporgente, quasi scultoreo, al |Dis•angeli 13|), l’altra più in basso, uno studio ingrandito del proprio occhio e sopracciglio. Il segno chiocciolare con cui attacca la chiave di violino, lo sviluppo dinamico-espansivo del globo oculare, la forma grafica con cui Valeria condensa la lettera C di Ciotti, alcuni sviluppi anellari di conchiglie più volte raffigurate dall’artista (|Oli•036| 1970, |Oli•080| 1975), alcuni impianti costruttivi dell’immagine, del tutto coerenti con questa forma (|Oli•073| 1973, |Oli•124| 1985), sono tutte prove di quanto questa forma naturale si sia a poco a poco trasformata, quale elemento che raccoglie e rimanda luce, in una forma astratta. In essa armonia, contrappunto e musicalità trovano il loro perfetto equilibrio. E se allora dovessi chiudere con una frase un possibile romanzo della vita artistica di Valeria mi piacerebbe farlo così: …quella chiave di violino proprio sulle labbra serrate non può che rappresentare la tenacia oltre ogni limite… la musica irrompe nel silenzio, il gesto diventa segno, diventa arte!…

Non è mai stata facile, per Valeria, la scelta artistica; ad essa vocazionalmente chiamata, ha dovuto prepararsi giorno dopo giorno, superando molte difficoltà, ora volute dai propri simili, ora incontrate per caso e non è fortuita la scelta di muovere i primi passi sulla strada dell’iconografia angelica, proprio partendo da una forma circolare di luce e calore in espansione corredandola poi di altri attributi, come ali o aureole, ma sempre come se si trattasse di un processo di diffrazione di piani luminosi e di varianti espansive. Su questo versante interpretativo troviamo allineate le affermazioni di due critici, per un verso, Massimo Centini che nel marzo ’93, nel testo di presentazione della personale dell’artista, presso la «Galleria Studio Laboratorio» di Torino, afferma: «tentando di scorgere la musicalità delle forme, che secondo un ritmo inarrestabile si inseguono sul palcoscenico del nostro quotidiano, Valeria Ciotti utilizza spesso la tela o il foglio come una sorta di pentagramma sul quale anche i contrasti più forti creano una loro armonia»; per un altro verso Francesco Lodola, il cui contributo alla stesura di un primo regesto delle opere pittoriche dell’artista nel 1998-1999 è stato fondamentale per ogni analisi successiva, più volte individua l’iconografia angelica nei lavori di Valeria anche quando questa non si presenta in modo così dichiarato, come nel caso del quadro |Oli•073| del 1973, ora titolato «Riposo», per il quale invece il critico aveva presupposto un titolo suggestivo così descrivendolo: «il lavoro Angelo caduto, è straordinariamente intenso e risolto sul piano formale, bello e inquietante. Una donna-angelo, caduta/precipitata, le cui ali si trasformano in un giaciglio di piume/vetri/cattedrali. Ritorna la suggestione di Matisse (rossi, verdi, gialli, blu vibranti) su una sfera di sfondo che è un gioco di controluce esasperato fino al bianco quasi assoluto del quale è investito e pervaso il corpo della figura».

Passati alcuni anni dalla nuova iscrizione all’Accademia Valeria, nel 1969, esegue un quadro «Luci» (fig. 2), importante per capire l’evoluzione della forma circolare così come ne abbiamo sin qui parlato, evidenziando con il titolo il legame profondo che unisce il concetto dell’espandersi della luce alla dimensione esistenziale di armonia, di festa e di gioia che ne emana. In realtà si tratta ancora di un paesaggio piuttosto reale in cui gli elementi di luce, forse artificiale, o semplicemente riflessi di questa su elementi naturali, a turno si espandono secondo un percorso concentrico ciascuno allargando il proprio campo d’azione quasi ad intonare un’unica e partecipata armonia danzante. Come non richiamare alla memoria i molti acquarelli della TRILOGIA D’ACQUA 1982-86 (es. fig. 3, part.), in cui lo stesso elemento circolare diventa punto di partenza ed espansione, quasi un catturare per poi restituire, un fascio di luce, dalla superficie del cielo a quella del mare. La luce e i suoi giochi, le sue danze, parlano all’artista di una luce più totale, quasi esterna alla semplice esperienza fenomenica che spesso nei disegni, come negli acquarelli e nei quadri, Valeria ci svela. Interessante il confronto a questo proposito con il disegno del 1971 circa (fig. 4, part.), in cui sulla parte alta e al centro, fuori della riquadratura naturale del foglio in cui compaiono tre alberi allineati con chioma a palla, quasi impercettibilmente la mano dell’artista ha indicato una zona circolare e la traiettoria tripartita di un fascio di luce. È come se da questo punto tutto il disegno prendesse corpo e lo sottolinea ancora la trattazione in primo piano della zona libera, appena macchiata da forme rotondeggianti e chiocciolari, su cui in corrispondenza dell’ombra tracciata dai tronchi dei tre alberi, chiaramente in controluce, distinguiamo la scritta «no». Probabilmente si tratta di una prova per un’incisione data l’esigenza del racchiudere in una cornice la scena, ma non è da escludersi lo studio per un quadro. Così nei due grandi acquarelli datati, firmati e titolati dall’artista stessa nel 1966 e 1967, rispettivamente «Studio di un angelo» |Acq•angeli 01| (tav. XXXII) e «Studio per un angelo» |Acq•angeli 02|, la testa della figura si pone proprio come un punto di luce sull’orizzonte, la cui espansione corrispondente all’apertura alare diventa luce pura, sia in alto che in basso, vale a dire oltre e sotto la linea dell’orizzonte stesso. Sciabolate di colore molto gestuali si alternano a condensazioni quasi mosaicate che ben esemplificano i giochi che l’occhio stesso è in grado di vedere e restituire con un segno dopo essersi immerso in un bagno di luce, e non semplicemente dopo aver osservato dal di fuori il complesso fenomeno.

In alcuni disegni a pastello coevi è possibile rintracciare il percorso quasi tassellare con cui l’artista fissa e campeggia le zone di espansione luminosa provocate dall’apertura alare delle figure angeliche, come nel caso del pastello (fig. 5) e del disegno a matita |Dis•angeli 03| entrambi del 1968 circa (preparatori al quadro |Oli•018| del 1968).

Una trattazione più tassellata in cui la luce angelica colora e caratterizza anche il fondo del quadro dividendolo in zone geometriche più precise, è presente nel quadro |Oli•017| del 1968 e nel pastello preparatorio |Dis•angeli 02| del 1968 circa, mentre una versione più arabescata e dinamicamente in grado di sottolineare lo studio del movimento del soggetto in volo, così l’inarcuarsi della struttura proprio nel punto dell’attaccatura alare, la ritroviamo nel pastello (fig. 6) preparatorio al quadro del 1969 |Oli•028| e in alcuni disegni eseguiti probabilmente tra il 1969 e il 1970 (|Dis•angeli 05| e |Dis•angeli 11|).

Il tema del volo viene affrontato dall’artista anche a distanza di anni sia nella produzione ad olio che ad acquarello. Confrontiamo ad esempio l’opera del 1973 |Oli•069|, che per la presenza del gruppo di volatili disposti circolarmente al centro si ricollega alle esercitazioni grafiche di Appunti di volo del 1968 circa |Dis•angeli 01| (disegno autografato con nomi di uccelli e pagine di un testo di riferimento a noi sconosciuto), con l’opera del 1985 |Oli•125| di cui così parla Francesco Lodola: «l’impianto costruttivo è il risultato della sovrapposizione volumetrica di ali/voli, punto di incontro della gestualità più libera e felice di Valeria con l’equilibrio sonoro dei colori o campi cromatici. In questo scenario si intravedono ali di insetti frullanti, ali spiegate e assai più ferme di uccelli, boomerang (indice metaforico della presenza dell’uomo?) e, ancora una volta, su tutto, straordinarie perché timide e nascoste curve/voli di danza. A sinistra in basso uno squarcio di azzurro, una sciabolata triangolare, rompe la quasi monocromia di una texture rosa/rosso/gialla: è uno spicchio di cielo sotto di noi?» (cfr. p. 126).

Così il tema del volo s’intreccia con quello del cerchio sole-angelo come attestano i lavori del 1973 |Oli•073| e del 1974 |Oli•075| e |Oli•074| (fig. 7) accanto alle incisioni del 1974 e 1975 circa (figg. 8, 10) e al disegno |Dis•angeli 14| preparatorio all’olio del 1975 circa (fig. 9). Gli ultimi due lavori sono del resto molto vicini ai primi tre dei quattro esemplari del polittico individuato da Lodola con il titolo Sole-Angelo per i lavori |Oli•096, 097, 098, 099| presumibilmente datati tra il 1975 ed il 1977.

L’attuale regesto preferisce invece individuare con il titolo Sole-Angelo soltanto il lavoro |Oli•096| raggruppando trilogicamente i restanti sotto il titolo Sole egizio 1, 2, 3. Personalmente prediligo la scansione offerta da Lodola che usava parole illuminanti al proposito: «Il soggetto è anche qui di difficile lettura, ma permane costante in me la sensazione di trovarmi di fronte ad una visione metamorfica del tema del Sole/Luce che travasa/tramuta in quello dell’Angelo» (cfr. p. 124).

Se con l’acquarello e inchiostro su carta del 1978 |Acq•angeli 03| il tema dell’angelo antropomorfo è dichiarato senza alcun dubbio, precoci furono le sperimentazioni sul tema come abbiamo già avuto modo di dimostrare in apertura di questa sezione, a cui vogliamo aggiungere una riflessione sui lavori datati intorno al 1969, i quadri |Oli•024, 025, 026| in cui il cerchio-sole pare galleggiare sullo sfondo con un pallido accenno alla sua futura rotazione luministico-dinamica, e sul lavoro del 1976 |Oli•103|, decisamente più acquatico, gocciolante, vicinissimo alle risoluzioni acquarellate sullo stesso tema degli anni 1979.

Si tratta in questi due ultimi casi di palle-sole galleggianti in spazi attraversati da ondate di luce e di colore, quasi delle zoomate a cielo aperto, in cui l’uso sapiente dell’acquarello, creando quinte trasparenti, rende manifesto l’iter condotto a partire dal pastello del 1975 circa (fig. 12) (cfr. |Oli•115|) sino all’olio Scattered del 1981 circa |Oli•120|, che per trattazione materica può apparire più un acquarello che altro.

Sul fronte della produzione più recente abbiamo inserito, presumibilmente intorno agli anni Novanta, due lavori ad acquarello che riassumono l’uno (fig. 11) il versante dinamico e raggiato del tema, l’altro (|Acq•angeli 05|) quello più tradizionalmente costruito sullo sfondo di un cielo e di una realtà fenomenica, che alle braccia ideali di un angelo affida la propria precarietà e la richiesta di protezione. Un caso, una preveggenza significativa?

Al lettore la libertà di ipotizzare con l’unica richiesta di unire e contenere in un solo sguardo d’insieme tutta la produzione e la ricerca dell’artista.

Un percorso preannunciato

| di Manuela Cusino |

In calce all’esamina della produzione grafica di Valeria Ciotti possiamo ipotizzare che a parte qualche raro esempio in cui il disegno si impone come lavoro propriamente autonomo, come nel caso di alcuni grandi disegni di nudo femminile, datati 1967 |Dis•nudi 18| e |Dis•nudi 20| (rielaborati sull’archivio mentale accademico contemporaneamente a sollecitazioni reali, autobiografiche e no), questa produzione sia legata intimamente ora all’esercitazione scultorea, ad esempio nell’arco 1950-51 sino al ’57, come testimoniano i due ritratti di vecchio già citati, ora a ritratti dal vero di amici e familiari, si veda a questo proposito il ritratto di Angelo Ciotti del 1957 (|Dis•ritratti 07|). Spesso i ritratti datati 1966-1967 sono studi per la veloce resa impressionistica realizzata ad acquarello, come nel caso di Luigina (|Dis•ritratti 19, 20, 22|), Agnese (|Dis•ritratti 15, 16|) e Rosalba, fig. 1 e fig. 2; oppure, tra il 1972-77, nel caso di Marco (|Dis•ritratti 29 e 31|), Paolo (fig. 3, |Dis•ritratti 34| e fig. 4), e Ornella (|Dis•ritratti 35|).

In effetti spesso la produzione grafica risulta un’esercitazione tematica come nel caso delle conchiglie del ’75 (fig. 5; fig. 6; |Inc•acque 06|, tav. n. XXV) o dei soggetti trattati a matita, pastello e inchiostro: i risultati di trasparenza a cui l’artista continuamente guarda sono da ricollegarsi alla parallela attività incisoria degli anni 1970-75 (cfr. fig. 7 con la fig. 9 e la fig. 8 con le figg. 10-11).

In tutti questi casi, il disegno non si impone come genere autonomo, ma vive e respira della stessa e primitiva sensibilità da cui muove tutto il lavoro di Valeria: una sintesi di materia e luce.

Quando la tecnica mista accanto alle analisi al microscopio si esercita su alcuni soggetti mi pare che l’interesse dell’artista sia sempre lo stesso, quello cioè che muove i suoi primi passi dall’approccio scultoreo: la luce domina la massa; trasparenze e sovrapposizioni non sono che passaggi successivi di questa ricerca. Lo attestano, come abbiamo già ricordato, anche molti disegni di nudo che sia per mancanza di definizione del volto sia per negazione di posture strettamente pittorico-descrittive, sono in grado di evocare masse e volumi in un gioco continuo di luce.

Per quanto riguarda l’uso dei pastelli notiamo che Valeria lo considera funzionale alla realizzazione dell’opera in un’altra tecnica, pittorica o incisoria. L’artista preferisce l’uso del pastello per una resa pre-pittorica; sono infatti eseguiti con questa tecnica i lavori preparatori a quadri più pittorici di altri, i cui i fondi colorati hanno una particolare significanza. Si citano a proposito oltre al pastello già ricordato |Dis•nudi 38| preparatorio al quadro |Oli•044|, il disegno |Dis•nudi 40| preparatorio al quadro |Oli•045|.

I disegni preparatori ai quadri di nudo realizzati tra il 1968 e il ’75 (pochi gli esempi datati, tutti però chiaramente riferibili agli oli) sono prova, accanto ai disegni che accompagnano le nature morte del 1966-67 (|Dis•nature 05|: qui il vaso-anfora è posto con l’ansa sul lato sinistro, diversamente dal quadro realizzato un anno prima |Oli•005|), così come quelli arborei-paesaggistici eseguiti, tra il 1969 e il ’71, parallelamente alle incisioni di uguale tema (|Dis•alberi 02, 03|; |Inc•paesaggi 03|; |Dis•primavera 01, 02|), di una vasta produzione grafica di esercizio e studio sull’argomento. A ben guardare, gli anni in cui questa produzione si concentra sono quelli dell’Accademia, in contemporanea alla produzione scultorea, proprio sino al 1952, quando Valeria si troverà impossibilitata a continuare il perfezionamento nel corso di scultura. A partire da questa data la produzione grafica continua in sordina con disegni di abilità e precisione, frutto di una mano felice nelle trasparenze e sovrapposizioni anche di piccolo formato (bozzetti d’arredo per l’antiquario Quaglino), sino alla nuova iscrizione di Valeria all’Accademia, questa volta al corso di Pittura. Siamo nel 1965, anno in cui la produzione grafica per così dire esplode con tutta la sua forza con i grandi disegni di nudo femminile citati, tra i quali isoliamo due, datati 1967, per il singolare gusto espressionista (|Dis•nudi 21 e 22|).

Si tratta in questo caso di una produzione autonoma per forza, dimensione di supporto e scelta del carboncino, in sostituzione a quel «fare in grande libertà di gesto e movimento, senza correzioni», che rappresentava l’amore perduto della scultura. Questi lavori grafici si condenseranno subito dopo in una produzione funzionale alla realizzazione delle grandi tele dei nudi femminili: qui le figure prevalentemente distese e rannicchiate, eseguite a rolla, o matita e carboncino, diventeranno strumenti docili al progetto. Frequente negli anni successivi l’uso dei pastelli per la preparazione di due quadri di nudo, e di temi paesaggistici: si assiste in questi esempi ad un passaggio significativo dal figurativo all’astratto, con un risultato più pittorico e meno scultoreo della figura femminile. La ricerca arriverà ad una rarefazione della forma a favore del colore e del suo gocciolamento (|Oli•078| del 1975).

Siamo dell’avviso che attraverso la grafica avvenga nella produzione di Valeria Ciotti il passaggio dalla scultura alla pittura grazie ad un processo di astrazione via via più marcato. Come nel caso delle ultime opere ad acquarello del 1994 (fig. 12). Infatti attraverso l’esperienza di temporanea sospensione dei lavori ad olio nel biennio 1982-84, per motivi esterni alla poetica dell’artista, ovvero per cause contingenti, prenderà avvio la produzione ad acquarello, già preannunciata negli anni Ottanta dalla rarefazione della vecchia produzione pittorica ancora interessata al colore e alla forma. A poco a poco il colore puro, la linea, gli spazi bianchi dei fondi si imporranno: l’olio verrà usato come un acquarello con colature, sciabolate e stasi improvvise (es. |Oli•132| e le figg. 13 e 14 del 1985) mentre gli acquarelli, sempre più quali opere compiute, presenteranno il colore e la linea quali protagonisti assoluti della nuova composizione.

In realtà, questa produzione ad acquarello sta alla produzione contemporanea degli oli antecedenti il biennio 1982-84, quanto la pittura costruttivo-astratta, risolta attraverso un uso tutto fauve del colore, corrisponde ad una lenta metamorfosi verso una pittura libera, di pura astrazione.

È dunque lecito ipotizzare che le due prove esistenziali di Valeria abbiano permesso un cammino creativo che dalla materia scultorea, attraverso la pittura, arrivasse alla pura rarefazione del colore e del segno. Forse era questa la strada che la sua ricerca doveva percorrere. E che nei suoi appunti più personali, datati precocemente 1970, nei suoi disegni sul mondo marino, così come nelle incisioni, non ci fosse già questa tendenza all’astrazione, alla trasparenza, è innegabile!

L’esplosione della produzione grafica ha permesso il superamento della materia scultorea verso una pittura più astratta, così come la produzione ad olio intorno agli anni Ottanta, particolarmente vicina a suggestioni liquide, ha spinto la produzione ad acquarello verso una sintesi di puro astrattismo.

Un percorso a tappe di fronte alle quali, suo malgrado, Valeria si è trovata, a cui ha aperto cuore e mano, e che l’ha condotta sapientemente dalla materia alla comprensione degli stati più rarefatti con cui essa si manifesta. Dall’aria, alla luce, fino alla trasparenza, all’ineffabile. Una visione a 360 gradi del reale: il panta rei.

Viaggio verso l’ineffabile. Analisi cronologica della produzione ad acquarello e tecniche miste di Valeria Ciotti dal 1966 al 1994

| di Manuela Cusino |

Se la ricerca della bellezza è una costante del cammino esistenziale e come tale coincide con la ricerca della verità, non soltanto quella fenomenica ma quella che la precede e la costituisce, così il viaggio verso il bello è anche un itinerario verso ciò che permette all’uomo di essere felice, ovvero di dare risposta al suo bisogno di assoluto e d’infinito.

Per molti artisti l’incontro con la bellezza può essere dunque luogo privilegiato d’incontro con l’assoluto o con temi ad esso affini, ma è fuori dubbio che nella produzione ad acquarello di Valeria Ciotti questo incontro rappresenti un viaggio particolare quale ascesa verso l’ineffabile, ossia verso un mondo fatto di puro segno, di fruscianti sonorità, di veline appena appoggiate sulla carta, trasparenti come la materia che vogliono trasmettere. A chiunque abbia sperimentato la gioia e la freschezza di una percezione nel momento in cui dai sensi si è insinuata sottilmente nel cuore e nell’anima creandosi un anfratto sicuro e sempre rinnovabile, i lavori su carta ad acquarello della Ciotti parlano un linguaggio conosciuto.

Non è dunque un caso, parlando di viaggio verso l’ineffabile, che tra le prime realizzazioni ad acquarello significative per stile e dimensioni, si trovino due studi per angeli datati 1967, il cui colore a macchia sarà sostituito da una stesura più astratta nei due piccoli acquarelli sempre di identico soggetto che ritroviamo in epoca successiva intorno al 1990 (|Acq•angeli 04, 05|). Come a dire che l’excursus della produzione su carta si apre e si chiude (basti pensare alle ultime tecniche miste del 1994) intorno ad un tema mirabilmente imparentato con quello dell’ineffabile.

Vedremo che i soggetti iconografici degli acquarelli sono molteplici anche se si prediligono temi paesaggisti, sia di terra che di mare e di cielo, quindi alcune nature morte, accanto ad esercitazioni significative sul tema degli alberi e ad interessanti bozzetti per oli, sino ad arrivare alle serie degli ultimi anni, datate 1993 e 1994, decisamente astratte, riecheggianti il mondo musicale kandinskijano.

Un tema piuttosto esiguo per esemplari, ma cronologicamente ricorrente (dal 1966 al 1981), è quello del ritratto, rappresentato da sette lavori ad acquarello e gouache di cui tre sicuramente datati: 1966 (ritratti di Agnese e Luigina |Acq•ritratti 01, 03|) e 1968 (ritratto di Roberto |Acq•ritratti 05|).

In questi esempi, tranne che nel caso dei ritratti di Roberto e Sarah (|Acq•ritratti 07|), Valeria aveva lavorato sulle singole figure ritratte anche con disegni o lavori ad olio, dimostrando però quanto la tecnica veloce dell’acquarello le permettesse di fermare sulla carta con un segno pregnante e sintetico le espressioni significative delle persone a lei più care. Si tratta di quegli individui che non le avrebbero commissionato un’esecuzione specifica, esattamente il contrario di quanto poteva essere accaduto per i ritratti ad olio (solo l’acquarello del 1972 circa, il ritratto di Marco |Acq•ritratti 06|, trova un suo corrispettivo in |Oli•051|, 1972).

Fatta questa premessa inizia il nostro viaggio cronologico verso l’ineffabile.

Siamo nel 1967 ed accanto agli acquarelli di angeli, già citati, troviamo la serie di Paesaggi astratto-geometrici in cui il colore sembra ora galleggiare liberamente raddensandosi appena intorno a forme circolari, ora disporsi più concretamente costruendo tassellature variopinte più o meno grandi, in alcuni casi veri incastri geometrici di ampie proporzioni (|Acq•paesaggi 03|).

Questa serie di acquarelli comprende lavori datati 1967, 1970, 1973-75, sino all’escursione significativa del 1980 in |Acq•paesaggi 19| dalla squillante ed astratta tavolozza cromatica. Nati da spunti impressionisti questi paesaggi vengono risolti in modo quasi espressionista-astratto.

Tra i più significativi ricordiamo l’importante acquarello Bolla, datato e firmato 1975 (fig. 1), a cui affianchiamo |Acq•paesaggi 13, 14| entrambi datati e firmati 1975. Nel primo caso si tratta di un paesaggio marino con isola in cui il primo piano viene risolto con un gruppo di alberi la cui trattazione predilige per la chioma la superficie bianca del foglio di carta, mentre solo pochi tratti di pennello stanno ad indicare l’andamento dei rami e delle zone più verdeggianti. La parte di paesaggio in primo piano sembra «colpita» da una luce proveniente dal basso, a destra: infatti i colori usati per definire in abbozzo le piante giocano su una tonalità giallo-dorata, quasi ambrata. Nel secondo paesaggio la stesura del colore è larga e a fasce sovrapposte, giocate su tinte pastello. Il fondo del quadro è appena interrotto sulla sinistra da incroci di pennellate in grado di evocare masse arboree; quindi a destra, da una fascia intermedia a tracciato verticale. Da notare il senso longitudinale dell’insieme appena interrotto dalle verticalità dinamiche degli alberi.

Nel biennio 1979-80 un’altra serie di Paesaggi, astri e pianeti, attira la nostra attenzione: il tema è quello del sole-luna. Come già osservato a proposito della produzione grafica, nonché ad olio, fu proprio a partire da questa iconografia che Valeria intuì l’importanza della relazione terra-cielo di cui seppe restituirci esempi mirabili in tutta quanta la sua produzione artistica. È dagli anni Settanta che il tema viene affrontato con varianti sino agli ultimi esempi del 1980 in cui il punto di osservazione non è più sicuramente la terra ma lo spazio etereo in cui le forme galleggiano attraversate da code di luce e colore che richiamano alla mente stelle comete o stelle cadenti (cfr. figg. 2-3 e |Acq•astri 08, 11|).

Si inserisce a questo punto del nostro viaggio la prima trilogia, cioè la TRILOGIA D’ACQUA 1982-1986, comprendente le serie Onde 1982-1984, Riflessi 1984-1985, Orizzonti 1984-1986.

Da osservare che alla prima trilogia segue una serie di lavori datati 1985-86 denominata dall’artista stessa «Trasparenze e riflessi», e da noi semplicemente Trasparenze; in realtà si tratta non proprio di successione cronologica in quanto per l’anno 1985 si assiste ad una sovrapposizione con le serie Riflessi 1984-85 e Orizzonti (1984-85-86). Poiché questa serie presenta conchiglie e temi affini, abbiamo pensato di denominarla *oggetti d’acqua. Così anche alla seconda trilogia, quella di cielo, segue un gruppo tematicamente significativo. La TRILOGIA DI CIELO 1987-88 è infatti accompagnata sin dal suo nascere nell’87 e negli anni immediatamente successivi, 1988-90, da una serie di lavori che denominiamo *oggetti di terra: serie Elementi dendrometrici del 1987-90.

Fatte queste osservazioni risulterebbe mancante sul versante degli *oggetti una serie riservata agli *oggetti di cielo. Un’ipotesi piuttosto credibile parrebbe quella di posizionare proprio negli anni 1993-94 un unico esemplare di una presunta serie purtroppo mai portata a termine, ovvero |Acq•bozzetti oli 06| senza firma, ma databile con una certa sicurezza per similitudine tecnica (acquarello e pastello) e coerenza stilistica con |Oli•165| datato e firmato 1994 (figg. 4-5).

Si tratta di una risoluzione che molto deve ai lavori su carta a partire dai fossili naviganti della serie Navigazione 1987 e dai fossili in trasmigrazione della serie Trasmigrazione 1988 (TRILOGIA DI CIELO).

È dunque possibile concludere che le tre trilogie proseguono iconograficamente con soggetti a loro affini o complementari, *oggetti d’acqua (Trasparenze e riflessi), *di terra (Elementi dendrometrici) e *di cielo. È un approfondimento dei soggetti iniziali secondo l’impianto di una cosmogonia generale.

Ed è questa la tesi che sosteniamo alla luce dell’indagine complessiva della produzione di Valeria Ciotti, vale a dire che l’intero iter artistico abbia preso le mosse da una visione globale, e panica del mondo. Probabilmente non così manifesta neppure all’artista, ed invece, come coerentemente avviene in visioni di siffatto genere, così chiara ad un’analisi a posteriori, sedimentata e operata da soggetti non implicati direttamente nel processo gnoseologico.

Si ricorda che tra le antiche teorie cosmogoniche quella di Talete riteneva che proprio l’elemento primigenio fosse l’acqua. Inoltre si precisa che con «argomento cosmologico» intendiamo la dimostrazione, variamente formulata nella storia del pensiero, dell’esistenza di Dio: questa esistenza viene dedotta dal carattere stesso dell’universo considerato come tale, ovvero in quella contingenza in grado di rimandare necessariamente ad un principio assoluto.

Fatta questa importante premessa ci inoltriamo ad analizzare la prima delle trilogie. Si tratta di un gruppo di lavori che abbiamo deciso di chiamare TRILOGIA D’ACQUA, nato intorno al tema del mare e del cielo e del loro reciproco riflettersi, e comprendente rispettivamente tre serie di acquarelli: Onde 1982-1984, Riflessi 1984-1985 e Orizzonti 1984-1986. Le suddivisioni tematiche nascono dalle affinità di fondo presentate.

I lavori raggruppati all’interno della serie Onde 1982-1984 si presentano quale iniziale fase di uno studio che verrà ripreso e sviluppato negli anni successivi, dal 1984 all’86, rispettivamente con acquarelli di diverse dimensioni, da quelli medi e grandi della serie Riflessi 1984-1985 sino a quelli piccoli della serie Orizzonti 1984-1986. Possiamo osservare che nonostante la variazione del supporto, il tema rimane coerente al suo interno anche se con interventi di volta in volta molto originali.

Alcuni disegni significativi ad inchiostro su carta accompagnano i lavori ad acquarello, rispettivamente i nn. 2-3-4-5 della serie Onde 1982-1984 (cfr. Dis•studiacq 03, 04, 05|); acquarelli caratterizzati da movimenti orizzontali più o meno ondulatori che tenderanno a compattarsi in sezioni tassellate ad uguale andamento nella serie Orizzonti 1984-1986. Questa serie è un vero e proprio taccuino di appunti su cui l’artista indica il mese d’esecuzione di ogni acquarello, e precisamente dal febbraio 1984 al giugno ’86. Essi rappresentano una mappa marina segnico-cromatica in cui è inequivocabile il riferimento al paesaggio romagnolo (Riccione) di cui Valeria aveva una profonda conoscenza.

La linea dell’orizzonte che compare spesso circa a metà della superficie dell’acquarello, restituisce con coerenza assoluta il tema del doppio e del riflesso (cfr. fig. 6).

Anche nella serie Riflessi 1984-1985 alcuni disegni interessanti, cfr. |Dis•studiacq 06, 07, 09, 10|, accompagnano le soluzioni acquarellate tutte giocate sull’idea di punti luce, ora catturati dalla superficie dell’acqua e restituiti grazie ad un gioco di continui rimandi caleidoscopici, ora osservati nelle loro cadenze danzanti e musicate dal sole all’orizzonte. Un sole che a volte pare improvvisamente inabissarsi verso la superficie marina (cfr. fig. 7).

La serie Orizzonti 1984-1986 è il risultato più astratto della trilogia e conserva, per la sua caratteristica di acquarelli tutti uguali e di ridotte dimensioni, il sapore di un diario segreto, intimistico ma palpitante, una specie di summa, un concentrato di poetica marina (cfr. |Acq•acqua-orizzonti 02, 16|).

A chiusura della prima trilogia nella serie Orizzonti 1984-1986 troviamo un acquarello significativo, |Acq•acqua-orizzonti 43|, datato 1986; interessante per il tema del riflesso, da cui il titolo e per la risoluzione astratta del mondo marino; un lavoro che sicuramente suscita confronti con il quadro «Goccia» |Oli•102| del 1975 e l’incisione |Inc•paesaggi 05| del 1972, quindi con i disegni |Dis•paesaggi 08, 09| e le incisioni |Inc•paesaggi 07, 08, 09| riferiti al quadro Diffrazione |Oli•123| del 1981 circa.

Gli oggetti d’acqua, ovvero la serie Trasparenze e riflessi del 1985-86, che accompagnano tematicamente la trilogia appena citata riprendono esercitazioni antiche (siamo infatti intorno al 1975 quando Valeria esegue una serie di bellissimi disegni di conchiglie anche in vista di alcune superbe incisioni), ampliandole e corredandole di sorprendenti note astratte. La varietà delle superfici predilige comunque quelle con segni anellari orizzontali, tipici dell’involucro dei molluschi come le vongole, che abbondano sulle spiagge romagnole, e si spinge da analisi accoppiate a un unicum dove il guscio, posto verticalmente, assume una posizione quasi totemica. L’analisi procede dal generale verso il particolare, come attraverso una lente d’ingrandimento; un processo d’indagine d’altra parte già individuato come tipico dell’autrice e che qui si concretizza in alcuni segni virgolettati dalle dominanti rosacee e verdognole che ritroveremo in alcuni acquarelli dal tema montano. Sono lavori datati 1991 circa, appartenenti alla serie Montagne – I Bianchi del 1986-93. È da sottolineare che in molti di questi esempi, l’artista interviene con il pastello cretoso, a volte addirittura con un segno a matita nera ad effetto argentato che ben preannuncia le soluzioni a collage con carte increspate degli anni 1993-94 (cfr. figg. 8-9 e |Acq•trasparenze 13|).

Nel triennio 1984-86 contemporaneamente agli esempi Riflessi ed Orizzonti della prima trilogia, quella dedicata all’acqua, si collocano i primi acquarelli di tre serie con escursioni più o meno dilatate nel tempo, e precisamente la serie Grafismi del 1984-85, la serie Studi alberi del 1984-93 e la serie Montagne – I Bianchi del 1986-93.

In Grafismi del 1984-85 i lavori presentano per così dire un confronto-incontro con l’acquarello: Valeria amava sperimentare tecniche complementari alla ricerca di soluzioni ottimali sul fronte della trasparenza come nel caso di fig. 10 (cfr. |Acq•grafismi 01-06|).

I soggetti vanno dai fiori agli animali sino ad alcune nature morte in cui soluzioni più libere del colore si accostano ad interventi a stampo; si tratta di una sperimentazione del segno: esso si presenta libero o bloccato in una forma precisa; in alcuni casi la calligrafia figurativa viene addirittura negata dalla superficie pittorica dell’acquarello similmente a quanto accade in |Oli•069| del 1973 il cui riferimento su carta è |Acq•paesaggi 10|. Vicinissimi ai lavori citati le due esercitazioni calligrafiche, quasi orientaleggianti del 1985 circa |Acq•grafismi 07, 08| in cui è chiaro l’interesse di Valeria per codici di scrittura antichi e per la scrittura in genere quale memoria degli uomini.

In Studi alberi del 1984-93 segnaliamo l’acquarello |Acq•studialberi 03| firmato e datato 1987 per il caratteristico costrutto d’alberi, parimenti rintracciabile nei quadri |Oli•130, 132| del 1985, e gli acquarelli datati e firmati rispettivamente ’91 e ’93 (figg. 11 e 12).

Sono lavori polimaterici con interventi a garza e ritagli di giornale in cui la semplice struttura dell’albero delineato con verticali trasparenti, ora su fondi orizzontali a striscia, ora sul fondo bianco della carta, si articola quasi ampliandosi per gestualità in senso plastico acquistando forte personalità narrativa e compositiva. L’acquarello |Acq•studialberi 10| pare raccontarci di canneti in superficie d’acqua o comunque di recinti, quelle zone tanto care a Valeria nella descrizione astratta dei giardini, sia nelle produzioni grafiche che ad olio.

Infine la serie denominata Montagne – I Bianchi, piuttosto consistente per esemplificazioni sul tema, copre gli anni che vanno dal 1986 al ’91-92 e ’93 presentando alcuni esempi iconografici anche a matita |Dis•studiacq 16, 17|.

La tendenza più evocativa all’inizio della produzione si carica di narrazione nella parte centrale dei lavori per evolversi verso soluzioni decisamente astratte. Il tema della montagna era stato infatti affrontato in pittura nel 1973 (come in fig. 13 e in |Oli•058|) e nella produzione ad acquarello, sul fronte dell’iconografia arborea, intorno al 1984 (cfr. |Acq•studialberi 02| 1984 e |Oli•132| 1985).

I riferimenti sono chiari: la tavolozza cromatica di |Oli•057| del 1973 viene ripresa negli acquarelli |Acq•montagne 18-21| della serie citata, mentre lo stesso tipo di albero presente nei quadri dell’84-85 ed ancora in |Oli•151| del 1992 circa, ritorna negli acquarelli |Acq•montagne 14, 15, 17|.

Nei paesaggi montani di questa serie l’uso dei bianchi naturali, ovvero della carta-supporto, spinge progressivamente l’artista ad una stilizzazione sempre più rarefatta del segno. Dalla macchia Valeria approda alla linea e alla sua essenzialità (cfr. figg. 14-15).

La seconda trilogia, la TRILOGIA DI CIELO comprendente le rispettive serie Navigazione 1987, Trasmigrazione 1988 e Eclissi 1988, è un crescendo sia a livello di ricerca tecnica che di complessità contenutistica. Negli acquarelli delle prime due serie i fossili naviganti diventano a poco a poco traiettorie di percorsi astrali; mentre nella terza serie del 1988 il cielo ingloba e rimanda ora a tecniche già sperimentate, come quelle a ricamo delle nature morte degli anni ’84-85 (Grafismi), ora a tecniche a venire come quelle dei collage degli anni ’93-94 (TRILOGIA SPIRITUALE 1993-94). Valeria lavorò alacremente a questa TRILOGIA DI CIELO praticamente per un biennio e lo dimostrano i molti esemplari che sul retro riportano quasi sempre la data e il mese progressivi d’esecuzione.

Si inizia con questa serie una sperimentazione che nella pittura ad olio e ad acquarello troverà la sua corrispettiva sintesi in |Oli•165| del 1994 e nell’acquarello con interventi a pastello corrispondente di cui abbiamo già parlato (|Acq•bozzetti-oli 06|). Nell’olio i fili che attraversano la superficie dei corpi galleggianti ricordano le medesime risoluzioni acquarellate con uso dell’argento delle serie Navigazione 1987 e Trasmigrazione 1988. Inoltre il fondo blu intenso che ricopre la tela è steso a tasselli accostati o appena sovrapposti, ma non mescolati, secondo la tipica tecnica dell’acquarello che prevede il semplice accostamento di parti cromatiche o al massimo una sovrapposizione per velature, in trasparenza.

Il primo acquarello della prima serie Navigazione 1987 (fig. 16) rappresenta una luna bianca che riflette nella parte bassa, quasi come in un appoggio temporaneo, parte della superficie terrestre; questo tondo lunare è posto proprio a metà della composizione ma con la linea dell’orizzonte che già lo attraversa, precisamente per un quarto della sua intera superficie. È chiaro che il tondo-luna è in posizione ascendente, quale autonomo cerchio di luce in cui galleggeranno dei misteriosi «sassi» (quelli del mare di Riccione), che ritroviamo negli acquarelli piccoli delle due serie Navigazione 1987 e Trasmigrazione 1988; essi si presentano quasi senza peso, eppure ben definiti nei loro particolari interni (piccole cavità, nervature); sono ripresi da ogni prospettiva, proprio come se galleggiando senza gravità ruotassero su sé stessi a 360 gradi. Il fondo blu violaceo allude simbolicamente, in una fusione cromatica particolarmente felice, alle trasparenze e profondità sia del mare che del cielo (cfr. il blu del fondo di |Oli•165|). Uno studio attento dell’elemento sasso ci viene esemplificato, come solitamente usava fare Valeria, da alcuni disegni a matita (|Dis•studiacq 20, 21|) ricollegabili ai lavori sempre ad acquarello su carta, ma di dimensioni più grandi, ovvero gli acquarelli di medie dimensioni n. 18 e n. 19 della serie Trasmigrazione 1988.

Analizzando con attenzione la scelta delle dimensioni del supporto su cui Valeria lavora in questo biennio intorno alla TRILOGIA DI CIELO possiamo notare che si ritrova anche qui una varietà di scelta come nel caso della TRILOGIA D’ACQUA. Ma se in quel caso l’excursus terminava con la scelta del formato ridotto, nel caso della TRILOGIA DI CIELO il formato più ridotto è già superiore a quello della precedente serie e si sviluppa progressivamente nel tempo, dal medio al grande, come attestano i lavori a tecnica mista con intervento a collage della serie Eclissi 1988. Si tratta di un tema in espansione di supporto ma anche di costruzione dell’immagine e dell’impianto generale sia spaziale che prospettico. Infatti nei lavori di dimensioni più ridotte della serie Navigazione 1987 il sasso che si presentava con giochi di colore pastello o comunque chiaro pare ora, nella serie Trasmigrazione 1988, caricarsi in senso espressionistico, a volte con tonalità decisamente più scure. Le risoluzioni nere-viola esaltano ancor più l’effetto vellutato che l’insieme degli acquarelli suscita all’osservatore. Le superfici sembrano cangianti come il velluto e questo effetto è reso ancor più vibrante da alcuni esempi di fossili inseriti su fondi-luna dai contorni non nitidi e precisi ma luminescenti (raggiera di luce gialla, o semiraggiera; cfr. |Acq•cielo-trasmigrazione 10| del 17 gennaio 1988 e tav. XLI, in particolare in fig. 17). Questo effetto di tessuto che cattura e restituisce la luce continua anche nelle tempere e collage su carta, della serie Eclissi 1988, che sembrano catturare le forme tondeggianti per poi restituirle immediatamente grazie ad un uso superbo del collage e degli interventi a simil-stampa/ricamo ottenuti con il colore bianco o comunque con carte veline molto chiare. La luna non è più, come abbiamo affermato in apertura di questa analisi, un corpo bianco palpitante, ma racchiude al proprio interno corpi in trasformazione, bacelli; essa riflette e ingloba parte delle superfici attraversate lungo la traiettoria del suo viaggio (fig. 18). Forte è dunque l’idea del movimento di corpi celesti da un punto ad un altro dello spazio cosmico ad interessare l’artista. I tagli in orizzontale o verticale all’interno del corpo tondo riflettono orizzonti di terra, cielo, mare; in altre parole, un panta rei. Per comprendere questa iconografia e la sua progressiva articolazione si confrontino a livello di taglio costruttivo la tempera e collage su carta n. 5 della serie Eclissi 1988 con gli acquarelli della serie Trasmigrazione 1988 dal n. 17 al n. 25 (cfr. |Acq•cielo-eclissi 05| e |Acq•cielo-trasmigrazione 25|).

Come abbiamo accennato, alla TRILOGIA DEL CIELO segue la serie degli *oggetti di terra dal titolo Elementi dendrometrici del 1987-90 con alcuni importanti disegni di riferimento (|Dis•studiacq 18, 19|). Si tratta di veri e propri campi di energia, datati 1990, i cui andamenti ramificati, ondulatori e bacellari, incontrandosi e/o incrociandosi, lasciano sulla carta, prima e dopo questo misterioso moto, macchie di colore informi, molto diluite. Anche in questo caso ritorna il tema dell’armonia cosmica nell’infinitamente piccolo, un argomento già analizzato in molta della produzione dell’artista e in particolar modo in alcuni esempi significativi di grafica e di incisione (cfr. fig. 19).

Nell’arco di tempo compreso tra gli anni 1988 ed il 1990 si colloca una serie costituita da sei lavori ad acquarello ed inchiostro, con relativi disegni (|Dis•studiacq 22, 23|) denominata Orientalismi. Sono esempi piuttosto originali nel percorso sin qui analizzato della produzione di Valeria Ciotti, anche se per certi versi potrebbero considerarsi un’anticipazione dei grafismi a collage dei lavori degli ultimi anni, vale a dire quelli datati tra il ’93 ed il ’94. Se poi volessimo tentare riferimenti al mondo dei quadri potremmo citare |Oli•126| del 1985 circa. I due disegni citati, riferiti agli acquarelli |Acq•orientalismi 01, 04, 05|, molto curati nella loro originale essenzialità, sono prova di quanto Valeria considerasse per lo più autonoma la produzione ad acquarello, tranne alcuni casi, e quanto la ritenesse capace di ispirare esecuzioni pittoriche su tela. Il segno continuo che troviamo in questi acquarelli si snoda senza alcuna traccia di sospensione con macchie di colore posizionate nelle parti esterne dell’intreccio grafico. Questo permette al lettore di ben individuare l’area centrale della composizione: una zona interamente libera, bianca, quasi centro pulsante di un unicum rivolto verso l’esterno, cioè verso i bordi del supporto. Tra l’arabesco e l’amebico, il segno si posa con evocata velocità sulla carta lasciandoci incantati con il suo misterioso senso cadenzato e ritmico (cfr. fig. 20).

Una dozzina circa di acquarelli di paesaggio, per lo più datati 1991 e racchiusi nella serie Astratti, sintetizza la ricerca avviata intorno agli anni 1984-85 sul tema del mare e dei suoi segni. Ritornano molte note grafiche già analizzate in precedenza, nonché alcune indicazioni suggerite dalla serie Paesaggi, astri e pianeti del 1979-80, accanto ad una sempre più marcata visione panica del mondo e delle sue manifestazioni. Si segnala in particolare l’acquarello del 1991 (fig. 21) per un confronto con l’acquarello Bolla (|Acq•paesaggi 12|) appartenente alla serie paesaggistica del 1975: l’elemento posto in alto al centro è visibilmente vicino, per impianto costruttivo, a quello ritrovato appunto nell’acquarello in fig. 1. La gamma cromatica della serie paesaggistica esaminata si evolve verso tonalità più squillanti e festose quasi a celebrare la pienezza di un’evocazione intimamente percepita.

Tra il 1991 ed il 1994 si situano anche sei acquarelli (serie Bozzetti per oli) in grado di anticipare le tecniche miste degli ultimi anni. Importantissimo è l’acquarello in fig. 22, datato e firmato 1991, per fissare la datazione del rispettivo quadro |Oli•146|. È dunque significativo che Valeria abbia datato l’acquarello che a prima vista si potrebbe pensare preparatorio al quadro. Sicuramente è un pensiero che ben si collega al lavoro ad olio ma contenente già in sé tutti quegli elementi che dal mondo degli acquarelli passeranno alla pittura. Infatti il lavoro su tela riporta alcuni elementi a collage che l’acquarello in questione è in grado solo di evocare e che (salvo le già premonitrici sperimentazioni delle Eclissi 1988) saranno invece una dominante di molti acquarelli successivi, a partire da |Acq•studialberi 09, 10| rispettivamente del ’91 e del ’93 della serie Studi alberi, sino ad arrivare alla TRILOGIA SPIRITUALE 1993-94, comprendente le serie Sinfonia I 1993, Sinfonia II 1993-1994 e Pentagramma 1994.

Lo sfondo bianco del quadro Controluce del 1991 circa (fig. 23), posto ai lati della quinta gialla centrale, leggermente modulata da tonalità rosacee sulla sinistra, esalta la superficie proprio come farebbe l’acquarello con la sua prediletta, la bianca carta, riportando in modo materico, grazie a veline e probabilmente ad interventi a pastello di tonalità più basse se confrontate con quelle dell’acquarello, la zona mosaicata ben visibile nell’acquarello, quella cioè sulla destra della verticale centrale di entrambe le esecuzioni. Lo sfondo giocato così su bicromie a fascia verticale restituisce fedelmente l’impressione di una specie di albero in controluce, effetto reso nell’acquarello dal fondo bianco del supporto su cui appare quasi come in un’illuminazione la parte costruttiva dell’albero ed il suo riflesso nella parte bassa, in primo piano. Le linee nere profondamente gestuali e di grande forza plastica dell’olio corrispondono alle stesse linee nere che in questo acquarello sono ancora semplicemente colorate, ma che successivamente si presenteranno a bassorilievo per effetto delle carte veline pressate ed incollate sulla superficie.

I successivi acquarelli Bozzetti per oli sono sicuramente riferibili ai lavori su tela: il n. 2, 3 e 4 ai rispettivi |Oli•152, 153| del ’92, mentre il n. 5 firmato e datato sul retro febbraio 1993, all’olio |Oli•158| dello stesso anno (cfr. tav. XVI): impostazione compositiva e gamma cromatica si corrispondono felicemente. A differenza dell’acquarello in fig. 22, in questi esempi la composizione pare molto più semplificata, e cioè quasi un appunto mnemonico.

Siamo così giunti all’ultimo biennio di lavori su carta rappresentato in modo superbo dalla stupenda terza trilogia, la TRILOGIA SPIRITUALE composta dalle serie Sinfonia I 1993, Sinfonia II 1993-1994 e Pentagramma 1994. Una trilogia che per trattazione iconografica e tecnica esecutiva è molto vicina al concetto di arte-spirituale coniato da Kandinskij e che noi pertanto riteniamo esemplificativa del percorso condotto dall’artista verso l’ineffabile. L’ipotesi con cui abbiamo aperto l’esamina della produzione ad acquarello e tecniche miste può dunque essere verificata osservando quanto queste tre serie rappresentino al loro interno, ma anche nei confronti del viaggio globale sino a questa data condotto, la piena affermazione di un linguaggio astratto che è capace di conservare per sempre la sua radice lirico-simbolista. Ai segni ed ai colori viene riconosciuta piena autonomia: essi non sono più il veicolo attraverso il quale ci appare il contenuto della raffigurazione, ma sono il contenuto, rappresentano l’opera stessa. Sono arte pura.

Letture come quelle dello Spirituale nell’arte (1912) o Punto, Linea, Superficie (1926) di Kandinskij, così come Astrazione ed empatia (1908) di W. R.Worringer, erano sicuramente vicine al mondo artistico-letterario di Valeria, attenta contemporaneamente sia a testi teorici sull’arte sia alla poesia o all’antropologia spirituale. Segnaliamo a questo proposito due raccolte di poesie, quelle di Apollinaire a cura di Renzo Paris (Newton Compton, 1971), e quelle di Montale, Ossi di seppia 1920-1927 (Mondadori, 1974) e due testi sul tema degli angeli, quello di Marco Bussaglia, Storia degli angeli (Rusconi, 1991) e quello di Philippe Faure, Gli angeli (Edizioni Paoline, 1991) appartenenti alla biblioteca personale dell’artista.

Non sarà dunque una digressione fine a se stessa l’attenzione che attraverso le due liriche seguenti proponiamo al lettore per addentrarsi con maggiore agilità nel mondo poetico degli ultimi lavori di Valeria Ciotti (le due poesie non sono state scelte a caso ma la prima perché evidenziata con un fermo pagina dall’artista stessa e la seconda perché ritenuta dalla sottoscritta particolarmente vicina alle intuizioni mistico-spirituali di Valeria). Da Ossi di Seppia di Montale:

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Da Calligrammi di Apollinaire (1918), alcuni passi tratti da Le colline:

Certi uomini sono colline
Che si rizzano fra gli uomini
E vedono lontano tutto l’avvenire
Meglio che se fosse il presente
Più chiaro che se fosse passato

. . .

Inverno tu che ti fai la barba
Nevica e io sono felice
Ho attraversato lo splendore del cielo
Dove la vita è una musica
Troppo bianco è il sole per i miei occhi

. . .

Di bontà e di dolore
Sarà fatta la bellezza
Più perfetta di quella
Che veniva dalle proporzioni.

La prima serie della trilogia citata, Sinfonia I 1993, si compone di dieci lavori tutti datati e firmati, di dimensioni medie (24 x 33 cm) e di un disegno a carboncino su carta riferibile all’acquarello n. 6 (|Dis•studiacq 24|).

La denominazione scelta per questa serie così per le due altre successive nasce dalla coerenza di questo gruppo di lavori intorno al tema della musica nel senso propriamente kandinskijano.

La grandezza delle superfici in crescendo dalla prima alla terza serie corrisponde, come avevamo evidenziato per altri lavori, ad un graduale infittirsi di elementi compositivi dialoganti tra loro, a livello sia grafico che materico. Le tecniche miste di Sinfonia I 1993 si mostrano preparatorie per la serie successiva, Sinfonia II 1993-1994, così come accadrà per quelle della seconda serie nei confronti della terza, Pentagramma 1994. L’armonia d’insieme di questa trilogia viene inoltre sottolineata dalla gamma cromatica: dominano tonalità pastello intercalate da elementi lineari molto scuri (neri), gestuali e in rilievo (collage di carte veline). Soltanto gli ultimi tre lavori della terza serie Pentagramma 1994 (n. 3, 4, 5), presentano uno scarto tonale significativo: gli sfondi pastello su cui danzano libere traiettorie che della scrittura musicale conservano l’entità timbrica e di durata, si sono caricati di solarità e di ritmo nei gialli-aranciati, nei verdi squillanti o nei blu violacei in cui si annega ogni segno nero. Per commentare questi lavori è bene servirsi di un linguaggio che mutua molti termini dal codice musicale e ciò alla luce dell’interesse da sempre dimostrato da Valeria verso questa ricerca. A volte anche in modo misterioso si ritrovano segni grafici visibilmente vicini a note o chiavi di violino, ad esempio nel caso del suo autoritratto del 1952 circa (|Dis•ritratti 03|) di cui già in precedenza abbiamo cercato di dare ipotesi interpretative (cfr. p. 149). Nel caso della trilogia citata ci basti constatare la straordinaria corrispondenza tra alcuni segni neri e le forme con cui generalmente note, pause, contrappunti, compaiono negli spartiti musicali, nonché l’effetto prima incisivo e scatenato, a volte per blocchi iterati, poi armonicamente politonale, che ritroviamo in tutti questi lavori su carta. Se dovessimo pensare a compositori particolarmente vicini alla sensibilità dell’artista non potremmo non citare il russo Stravinskij con la Sagra della primavera del 1913; un’opera molto cara a Valeria specie per le sperimentazioni e rivoluzioni che permisero a molti critici di accostare il linguaggio del compositore russo a quello pittorico: dalla prima maniera, definita russo-impressionista, analoga ai periodi rosa e blu di Picasso, alla sperimentazione che grazie a caratteri vicini alla pittura fauve (ed è il caso della Sagra della primavera) approderà ad una prospettiva strutturale paragonabile a quella cubista. Per non citare poi la cosiddetta terza maniera, chiamata così in relazione all’analogo periodo neoclassico picassiano. Un altro compositore le cui opere hanno sicuramente sollecitato il mondo poetico di Valeria è l’armeno Khacaturjan, allievo di Mjaskovskij, insegnante dal 1951 al conservatorio di Mosca le cui opere molto devono al folclore musicale armeno. Famosi i balletti come Spartaco del 1956 il cui titolo autografato ritorna per ben tre volte nella produzione di Valeria, in due oli del 1992, «Spartacus n 1» (fig. 25) e «Spartacus n 2» |Oli•150| e nel disegno riferito alla tecnica mista n. 1 della serie Pentagramma 1994 (fig. 24, part.). Ritmi serrati, abbandoni melodici e sgargianti sonorità riecheggiano mirabilmente dal testo musicale ai lavori dell’artista.

Esaminando con attenzione la prima serie Sinfonia I 1993 composta da dieci lavori datati e firmati ’93 (24 x 33 cm) e dal disegno già citato (fig. 27) possiamo fare alcune considerazioni: il lavoro n. 2 ed i movimenti ondulatori che esso presenta nella fascia alta sono vicini a quelli riportati in |Oli•162| del ’93 e a quelli in posizione mediana di |Acq•spirito-pentagramma 01| del ’94; inoltre il disegno a carboncino su carta (fig. 27) riferito al lavoro n. 6 del ’93 (fig. 26), di cui abbiamo già parlato, presenta elementi rotatori disposti similmente ai petali di un fiore (forse una rosa) proprio come quelli ottenuti con tecniche miste nel lavoro n. 9, anch’esso del ’93; inoltre il lavoro n. 7 è molto importante per datare con sicurezza |Oli•163| e per accertare la progressiva indipendenza delle tecniche su carta nei confronti della produzione su tela. Nel lavoro n. 8 è interessante l’inserimento a mosaico in alto, leggermente a destra. Tale motivo si ritrova in |Acq•spirito-sinfonia-II 08| del ’94, così come in |Acq•bozzetti-oli 01| del ’91 e in |Oli•140| del 1987 circa.

La tecnica esecutiva di questa come delle altre due serie della TRILOGIA SPIRITUALE è rappresentata da pastelli cretosi, tempere e collage e corrisponde ad una rielaborazione della semplice tecnica ad acquarello su carta sin qui incontrata.

I lavori di questa serie furono esposti nel 1993 insieme a quelli coevi della serie Sinfonia II 1993-1994, presso la «Galleria Studio Laboratorio» di Torino e nel 1994 insieme alla serie Sinfonia II 1993-1994 e alla serie Pentagramma 1994 presso la «Galleria Duemme» di Genova.

Esaminiamo ora con attenzione la seconda serie Sinfonia II 1993-1994 composta complessivamente da dodici lavori, tre disegni e un disegno fronte e retro. Le opere dal n. 1 al n. 5 datate e firmate ’93 (33 x 48 cm) possono avvicinarsi ai |Dis•studiacq 25 (fig. 28), 26, 27, 28, 29|; il lavoro n. 6 ancora del 1993 è di formato leggermente diverso (32 x 40 cm); i lavori dal n. 8 al n. 10 sono invece del 1994 (33 x 80 cm); il n. 7 (46 x 33 cm), è l’unico esempio a sviluppo orizzontale ed è del 1994. Chiudono la serie due lavori di formato 33 x 48 cm, il lavoro n. 11 circa 1994, e il n. 12 del ’94.

La serie è cromaticamente simile, come già accennato, a quella che cronologicamente termina l’intero excursus, cioè Pentagramma 1994; in particolare i lavori dal n. 1 al n. 6 di Sinfonia II 1993-1994 anticipano la serie successiva, mentre i lavori dal n. 7 al n. 10 ne costituiscono un parallelismo su proporzioni ridotte. Anche i lavori della serie Sinfonia I 1993, sicuramente di dimensione più piccola (24 x 33 cm), sono vicini per colori ed impianto ai lavori che stiamo analizzando.

Le considerazioni più importanti di questa serie sono le seguenti: l’acquarello in fig. 29 è confrontabile per movimenti a semiparabola ed in parte ad onda della parte bassa, nonché per le veline a tasselli orizzontali, al n. 4 della stessa serie e al n. 1 della serie Pentagramma 1994; il n. 2 e n. 3 sono vicini per inserti calligrafici a mascherina con il n. 2 serie Pentagramma 1994 e con gli interventi a stampo delle nature morte ad acquarello del 1984; il n. 4 con |Oli•162| 1993 e il lavoro n. 1 serie Pentagramma 1994; si osservi inoltre che il n. 5, per struttura così simile allo strumento del diapason, non solo ha ispirato la titolazione della serie ma è accompagnato da un disegno fronte e retro a biro su carta molto significativo (|Dis•studiacq 28, 29|).

Molto bello l’acquarello in fig. 30: con pochi tratti e ancora con la ricorrente zona a mosaico, questa volte giocata tra l’azzurro ed il bianco, l’artista raggiunge un grado di alta tensione astratta; infine i nn. 10 e 11 offrono chiari riferimenti al segno grafico della chiave di violino o di sol; il n. 12 si segnala per il ribaltamento speculare di una delle due parti della superficie sull’altra, anche questo un Leitmotiv nella produzione ciottiana.

La tecnica esecutiva è ancora la stessa. Queste carte vennero esposte, quelle datate ’93, presso la «Galleria Studio Laboratorio» di Torino e nel 1994, insieme alla serie Sinfonia I 1993 e Pentagramma 1994, presso la «Galleria Duemme» di Genova.

Passiamo ora all’esamina dell’ultima serie denominata Pentagramma 1994. Molto vicina per tavolozza cromatica alla Sinfonia II 1993-1994, anche se realizzata su superfici dilatate e, in parte, almeno per i primi due lavori, anche alla Sinfonia I 1993 (cfr. il n. 1 e n. 9 Sinfonia I). Si tratta di quattro lavori simili per dimensioni, ovvero 50 x 70 cm e di un lavoro 43 x 50 cm accanto un disegno a biro già citato, autografato «da: Spartacus» riferito al primo acquarello di questa serie (|Dis•studiacq 30|). Tutti gli esemplari sono firmati e datati 1994 e rappresentano l’ultima produzione su carta realizzata da Valeria così come |Acq•bozzetti-oli 06| caratterizzato da esemplari interventi a pastello; in realtà questo lavoro richiama sia la precedente produzione su carta, a partire cioè dai fossili naviganti delle Navigazione 1987 e Trasmigrazione 1988, sia il lavoro |Oli•165| 1994. Le grandi affinità tra l’opera ad olio datata e l’acquarello ci hanno permesso una datazione sicura. Inoltre riteniamo possibile, come già accennato, che questo lavoro su carta rappresenti il primo esempio di una serie, purtroppo non realizzata a causa della malattia dell’artista, dal titolo *oggetti di cielo in corrispondenza a quanto verificatosi negli anni immediatamente successivi o ancora in essere alla produzione di ciascuna trilogia (da quella di acqua, con *oggetti d’acqua, a quella di cielo con *oggetti di terra sino a quella spirituale con presunti *oggetti di cielo).

Ad un’analisi attenta della serie Pentagramma 1994 si rilevano antecedenti significativi nella produzione ad olio del 1992-93-94, cioè da «Spartacus n 1» e «Spartacus n 2» del 1992 agli |Oli•166, 168| del 1994. Confronti tecnici sono inoltre possibili con |Oli•163, 164| realizzati tra il 1993 e il ’94, così come i già citati |Dis•studiacq 30| con |Oli•162| del ’93 e con entrambi i lavori titolati «Spartacus» (|Oli•149, 150|) del 1992.

Nel primo lavoro della serie Pentagramma 1994 (|Acq•spirito-pentagramma 01|) la zona mosaicata si è risolta in una puntinatura con sovrapposizioni tratteggiate e la forza segnica degli interventi in nero richiama alla memoria il gesto scultoreo del disegno di nudo |Dis•nudi 25|.

Nel secondo (fig. 31) troviamo ancora riporti grafici simili a quelli degli acquarelli a stampo del 1984 (Grafismi); si confronti inoltre il n. 1 della serie Pentagramma 1994 rispettivamente con il n. 1 e il n. 4 della serie Sinfonia II 1993-1994. La tecnica, sempre identica, raggiunge effetti magico-evocativi soprattutto negli ultimi lavori dai colori molto più squillanti ovvero negli |Acq•spirito-pentagramma 03, 04, 05| (fig. 32).

La serie venne esposta nel 1994 insieme alle serie Sinfonia I 1993 e Sinfonia II 1993-1994 presso la «Galleria Duemme» di Genova.


NOTA. L’analisi complessiva sin qui condotta ci permette di ipotizzare soluzioni aperte a possibili varianti nel caso di nuove datazioni o reinvenimenti.

Acquarelli e tecniche miste. Lo sviluppo coerente di una cosmogonia accennata e sviluppata per blocchi nella produzione pittorica

| di Manuela Cusino |

Nel percorso dei lavori ad olio si situano alcune opere che pur precocemente datate sono in grado di sintetizzare la ricerca per così dire cosmogonica dell’artista.

Se ciò pare vero per Anima mundi del 1968 (|Oli•022|) e Budda del 1969 (tav. IV), tanto più ne è riprova la cospicua produzione su carta, ad acquarello e tecniche miste, compagna fedele di un grande arco della produzione artistica di Valeria (dal ’66 sino al ’94), proprio per quella sua caratteristica condensazione in nuclei cronologici e tematici significativi che abbiamo analizzato nel testo precedente. La produzione su carta è infatti lo specchio vivente, quasi palpitante, delle diverse componenti cosmiche affrontate dalla poetica dell’artista: dall’acqua al cielo, dagli oggetti di acqua e di terra alle astratte, nonché musicali ed eteree atmosfere spirituali.

L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile (Paul Klee).

Come un nastro trasparente e ci piace usare questo termine per evidenziare una costante del lavoro ciottiano costantemente sensibile, naturalmente vocata, a questa dimensione, la produzione su carta accompagna quella su tela. La grafica tuttavia dimostra fin dai primi momenti (si pensi agli acquarelli «Studio per un Angelo» del 1966 e 1967, precoci eppure così autonomi se paragonati ai lavori su tela di medesimo soggetto cfr. |Oli•017, 018, 028, 096, 097 e 098|) la sua forte personalità al punto di diventare essa stessa musa ispiratrice soprattutto per i lavori ad olio degli ultimi anni, dal 1993 al 1994. Se infatti nella serie Bozzetti per oli degli anni ’91, ’92, ’93 troviamo due acquarelli-studio in grado di sintetizzare per trasparenze e gestualità segnica il risultato raggiunto nei lavori su tela (figg. 1-2, |Oli•158| 1993), nelle serie Sinfonia I 1993 e Sinfonia II 1993-1994, nonché in quella titolata Pentagramma 1994, i risultati tecnico-espressivi raggiunti attestano chiaramente un’inversione di rotta tutta a favore della produzione cartacea, convalidata anche dalla progressiva grandezza della superficie di lavoro pronta ad accogliere ogni sperimentazione materica: dalle tempere ai pastelli cretosi, al collage con carte veline colorate (cfr. fig. 3).

Quando parliamo di rotta naturale intendiamo, come già affermato nei testi precedenti, che alcune cause naturali hanno indirizzato un percorso in realtà già scritto nel Dna creativo dell’artista. La tendenza all’astrazione, alla rarefazione del segno (pur caricato espressivamente grazie ai suggerimenti materici apportati dal collage) e alla struttura essenziale del quadro, nonché al gesto continuo che ne permette la visibilità pur per azione sottrativa, si poteva rintracciare fin dai primi momenti dell’accademia: Valeria pur avendo dovuto allontanarsi dal mondo accademico e dal suo primo amore, la scultura, era stata in grado di rimettere alle grandi carte dei disegni di nudo il suo amore per il segno costruttivo, un segno efficace e sintetico in quel nulla cedere alla sensualità della forma e della materia.

Sono sicuramente da considerarsi punti di condensazione cronologica e tematica del processo cosmogonico, nonché delle sue varianti all’interno della produzione su carta, le tre Trilogie che abbiamo individuato tra gli anni ’82 e gli anni ’94 e le rispettive serie *oggetti di acqua ovvero Trasparenze e riflessi del 1985-86 ed *oggetti di terra ovvero Elementi dendrometrici del 1987-90. Non è un caso che a partire dall’82 quando gli ultimi lavori ad olio vengono terminati da Valeria proprio dopo il primo intervento ospedaliero, come nel caso di |Oli•121| del 1981, la produzione ad acquarello s’intensifichi, dando vita alla prima trilogia, quella d’acqua dal 1982 all’86, il cui sottotitolo potrebbe portare la dicitura «Discorsi col mare». Fu la stessa artista a titolare così i lavori che io ebbi felicemente modo di presentare con un testo critico nell’aprile 1984 presso la «Galleria Studio Laboratorio» di Torino. Lo stesso titolo suggerisce un atteggiamento connaturato alla sensibilità di Valeria, sia umana che artistica. Il dialogo non può eludere l’ascolto. A questo proposito risultano efficaci le parole di Renzo Guasco nell’87, in occasione della presentazione critica di lavori ad olio e su carta dell’artista, presso la «Galleria Il Mercante» di Milano: «Ho parlato a lungo con Valeria Ciotti, meglio, ho cercato di farla parlare,… osservando i suoi acquarelli… soprattutto ama il mare. Ama l’acqua. Mi ha fatto vedere gli acquarelli bellissimi delle conchiglie, delle vongole, di un disegno rigoroso, ma anche liberamente inventato, come sono inventati i colori. Ama nuotare nel mare, osservare quello che si vede a pelo d’acqua. In un piccolo notes che porta sempre con sé annota con brevi tratti quello che ha visto…». Valeria ascolta e annota, lo testimoniano i disegni dei primi acquarelli dell’82 (figg. 4-5) concentrati sull’andamento più o meno ad onda della superficie e quelli che accompagnano i lavori dell’84 (|Dis•studiacq 08-10|), dove un punto luce pare catturato al disotto della superficie dell’acqua per essere contemporaneamente scaraventato al di sopra di essa, nella zona senza confine dell’aria e del cielo. Ogni dato a partire dal punto focale (fuoco) viene annotato ed indagato. Ritornano in un disegno bianco e nero |Dis•studiacq 06|, preparatorio al lavoro a pennarelli colorati |Dis•studiacq 07|, 1985 circa, i termini fuoco, raggi, luce, acqua, cielo, nuvolette, vere e proprie parole chiave legate al concetto di sole. L’ultima nota, nuvolette, leggermente vezzeggiativa e al contempo ironica non è lontana dall’atteggiamento di Valeria che spesso sa scherzare sui massimi sistemi proprio perché non ne concepisce in alcun modo l’allontanamento.

Se poi si esaminano attentamente i lavori costituenti l’ultima trilogia, quella spirituale, essi risultano non solo molto legati tra loro ma anche alla coeva produzione ad olio di cui pertanto costituiscono la soluzione più poetica e tecnicamente riuscita. Anche la progressiva dimensione della superficie dei lavori, da quelli medio-piccoli a quelli grandissimi (50 x 70 cm), attesta un crescendo di forza espressiva congiunta alla dimestichezza del mezzo e delle sue varianti. La tecnica mista con tempere, pastelli cretosi e collage, come abbiamo già accennato, si perfezionerà verso risultati di rara perfezione ed equilibrio.

I piccoli disegni ritrovati come schizzo veloce ma efficace dei quadri del 1990 (|Dis•studi 01|, |Oli•144|)e quelli per i quadri successivi del ’93 e ’94 (cfr. |Dis•studi 02| e |Oli•154|; |Dis•studi 03| e |Oli•157|; |Dis•studi 04| e |Oli•161|; figg. 6-7), attestano con chiarezza l’autonomia degli acquarelli che pur vicini agli oli di quegli anni sono da considerarsi una ripresa ed un superbo superamento degli stessi (cfr. fig. 7 del 1994 circa e la serie Pentagramma 1994).

Valeria non esegue più come al tempo dei nudi disegni grandi, a volte anche con interventi a pastello, vere e proprie impalcature della scena raffigurata sulla tela (es. |Dis•nudi 18, 19, 24, 25, 43, 44|), ma appunta su piccolissime superfici cartacee quell’improvviso accendersi della materia ad olio, più corposa proprio in un determinato punto: è l’uso più materico del carboncino a farci pensare che questi disegni pur essendo riferiti ai quadri siano per molti versi molto più vicini alla produzione a tecnica mista degli ultimi anni.

È infatti possibile confrontare questi piccoli disegni con quelli preparatori per alcuni lavori cartacei delle serie Sinfonia I 1993, Sinfonia II 1993-1994 e Pentagramma 1994 (figg. 8-9).

Inoltre la dimensione dei disegni preparatori agli oli ricorda che è sulla capacità di far vibrare il segno che l’attenzione dell’artista si concentra.

È sulla trasparenza e sovrapposizione funzionale del colore che il quadro andrà a cantare la sua nuova armonia.

Il confronto sin qui ipotizzato tra produzione pittorica e produzione ad acquarello trova un altro elemento interessante di analisi nell’esamina del significato, sia tecnico che simbolico, dell’uso del colore gocciolante.

Precocemente individuiamo alcuni accenni di questa tecnica negli studi per angeli del ’66-67, ma ben presto ci accorgiamo che questo uso coincide per lo più, tranne qualche caso (|Oli•078| del 1975), con la trattazione della figura circolare, sole-luce-energia che dagli esempi del ’70, sia in pittura che negli acquarelli (|Oli•020|), si spinge cronologicamente oltre (|Oli•103| 1976, |Acq•astri 01| datato e firmato 1979 e |Acq•astri 02| del 1979 circa). In questi casi come in |Oli•112| 1978, quindi |Oli•113-115| 1979, si assiste ad uno scioglimento della materia corrispondente ad un alleggerimento gravitazionale di sole-luna-astri e pianeti in viaggio verso una navigazione libera (dalla goccia all’acqua, dallo stato liquido a quello gassoso). È come se si passasse lentamente da una visione di terra ad una visione totale, di cielo, aria, acqua e fuoco. Non a caso è stato scelto il titolo Scattered, per |Oli•120| del 1981 circa, in cui i piani di una dimensione si sovrappongono a quelli dell’altra, generando grande senso di instabilità e galleggiamento.

Questa capacità di riflettere nel tanto piccolo l’universo intero, come abbiamo più volte affermato a proposito dei lavori ad incisione di Valeria, così come la capacità di ribaltare i piani della visione e sciogliere la materia in colature di colore sino a fare di una goccia o di una bolla un caleidoscopio meraviglioso di proliferazione visionaria, può a buon diritto aprire una chiave di lettura sull’intera produzione ciottiana, facendo delle sue indagini miniaturizzate, dei viaggi attraverso gli elementi, aria, acqua terra e fuoco, un simbolico viaggio cosmico. Si vedano a questo proposito la scelta della titolazione della serie ad acquarello del ’79-’80 Paesaggi, astri e pianeti coerentemente alla produzione su tela degli stessi anni (es. |Oli•122| del 1981) e le seguenti osservazioni.

|Acq•studialberi 04| (13 x 18 cm) della serie Studi alberi del 1984-93 nonostante la risoluzione piuttosto figurativa di due elementi arborei, verosimilmente pini o abeti, presenta una soluzione del fondo che per forma e dimensioni possiamo ricondurre a quella di una goccia o bolla. Una superficie miniaturizzata in grado di rimandare, attraverso la luce, il mondo. Un modo di guardare che ci ricorda l’acquarello firmato del 1984 |Acq•studialberi 02|, anche se qui sono più numerosi i piani di diffrazione e con risultati più evanescenti. Già negli anni intorno al 1975 sono ben tre gli studi sullo stesso tema, apparentemente umile, ma di grande pregnanza simbolica. Il primo, purtroppo non reperito, dal titolo autografo «Goccia» |Oli•102|, il secondo, già citato nel testo «Un percorso preannunciato» (cfr. |Inc•paesaggi 05|, |Oli•102|), e il terzo, |Acq•paesaggi 12| del 1975, appartenente ad una serie di paesaggi che per molti versi giocano sulle stesse note cromatiche e compositive (Paesaggi astratto-geometrici del 1967-80). Gli studi del 1975 sono caratterizzati da tassellature cromatiche alternate a zone più materiche, quasi brulicanti per uso della luce.

In particolare l’acquarello *Bolla |Acq•paesaggi 12| si presenta interessante per una palla/fuoco in isolamento, proprio al centro della pagina bianca del fondo, all’interno di una bolla, ovvero una zona la cui luce fortissima riesce ad annullare qualsiasi definizione del fondo. A fianco della bolla due zone cromatiche a raggiera dalle tonalità blu-arancio. La parte in basso della bolla contiene al suo interno chiari rimandi alla superficie dell’acqua in grado di tracciare una linea di orizzonte che prolungandosi sui due lati esterni della bolla stessa divide la composizione esattamente in due parti uguali: lo spazio del mare e lo spazio del cielo. Sono la luce e la forza-calore che azzerando con i loro bagliori ogni altra realtà del cielo ci restituiscono, come farebbe una lente di ingrandimento, il brulicante mondo di una porzione di mare su cui per un attimo si sono posate. Proprio come una superficie specchiante, una bolla d’acqua ed una goccia, sono in grado di restituire nell’infinitamente piccolo l’ingrandimento cellulare del mondo che le circonda.

A distanza di circa dieci anni, nel 1986, un altro acquarello (fig. 10) riprende e per così dire estende la ricerca sul tema del riflesso: cielo e mare e terra si incontrano fondendosi in una macchia di colore brulicante e astratta, proprio al centro del foglio (cfr. |Oli•123| *Diffrazione, lettura 80 x 70 cm, circa 1981, |Dis•paesaggi 09|, |Inc•paesaggi 07, 08|). L’immagine appare come ribaltata: i due piani della composizione si incontrano quasi annullandosi l’uno nell’altro. Anche capovolto questo lavoro ci parlerebbe con la medesima intensità. Quasi un gioco che come abbiamo già visto appartiene sia alla produzione su tela che a quella su carta. Un gioco semplice in grado però di regalarci in una goccia, bolla o qualsivoglia forma ovale, il mistero del mondo.

Così si chiude l’ipotesi di un percorso che al di là di confronti e documenti vuole essere comunque e sempre un viaggio aperto verso la ricerca, l’attribuzione e la sperimentazione.