Brani di un esame critico

Introduzione

Angelo Ciotti

Il critico Francesco Lodola amava le opere di Valeria. La loro reciproca conoscenza risale al 1988 allorché, su incarico di Anna Virando, egli redasse il testo di presentazione della mostra degli acquarelli intitolati «Lune» che si tenne presso la «Galleria Studio Laboratorio» nell’ottobre di quell’anno.

Quando, incontratolo casualmente nella stessa Galleria, venne a sapere che desideravo preparare un catalogo e una mostra retrospettiva di Valeria, si offerse di collaborare al lavoro, anche con incarichi umili, come quello ad esempio di preparare le cornici, pur di avvicinarsi nuovamente a quel mondo figurativo che lo aveva affascinato. In effetti, con mia gratitudine, si assunse l’onere di occuparsi degli oli, che iniziò ad esaminare ad uno ad uno annotando sul suo computer le immediate impressioni e le osservazioni che di getto elaborava su ciascuno.

Purtroppo nel momento in cui, dalle opere che avevo in casa, si doveva passare all’esame di quelle presso i singoli collezionisti, Francesco, per impegni inerenti a una sua nuova impresa lavorativa, non poté più continuare ad assolvere il suo compito.

Rimangono però quelle sue fresche annotazioni risalenti al 1998-1999 che, sebbene in maniera frammentaria, ricoprono tutto l’arco produttivo ad olio di Valeria, dal 1966 al 1994, e che vengono qui trascritte pressoché integralmente, ordinate secondo il regesto cronologico delle opere.

Sono osservazioni acute, penetranti, letteralmente ineccepibili, che del quadro individuano o tentano di decifrare il soggetto, descrivono la sua struttura e forma, i colori, scrutando l’animo che aveva generato l’opera. Nell’insieme sono circa un centinaio i quadri esaminati e la loro escursione cronologica segna chiaramente l’evolversi della pittura di Valeria, delle sue tappe e conquiste, delle sue esigenze, dell’afflato scultoreo di cui l’intera produzione ancora risente.

L’insieme è per me anche un insegnamento di come si osserva stilisticamente un quadro, di quanto si può scoprire in esso e della sensibilità di chi l’ha prodotto. Pure per questo ritengo meritevole e opportuno che questo apporto critico venga qui esposto, tanto più che è in qualche modo complementare e addizionale a quello organico della Mantelli, di carattere più psicoanalitico. La strutturazione del presente catalogo in due volumi può agevolare il lettore nell’esame della raccolta lodoliana, offrendogli l’opportunità di osservare ogni opera enumerata contemporaneamente alla sua rappresentazione iconografica del secondo volume.

N.B. In parentesi sono riportate le ipotesi di titolazione indicate dal critico al momento dell’esame del regesto allora in essere.

Brani di un esame critico

Francesco Lodola

«Autoritratto», 1966 |Oli•008|

È molto bello e curioso l’accostamento compositivo ai papaveri… Il papavero le piaceva perché era colorato e allo stesso tempo essenziale, spoglio e, secondo me, perché recava innato un senso di movimento verso l’alto, di ascesa, che qui appare ben evidenziato, addirittura galleggiante nell’aria, sospeso (sembra che i tre papaveri galleggino e non stiano nelle mani di nessuno), nel parallelismo con la fissità dello sguardo di Valeria. L’opera è significativa anche perché consente di cogliere meglio la variazione avvenuta nella tecnica, nel medium e nella stesura della pittura da questi lavori iniziali e quelli dei periodi successivi, ed anche contrappuntata dalla presenza di riflessi di rosso (il rosso dei papaveri che si riflette?). L’opera dovrebbe essere in mostra come esempio di lavori iniziali.

Il barboncino, 1967 (Cane nero/Il barboncino) |Oli•010|

È l’immagine di un cagnolino nero che scorse guizzante all’avvio di una estemporanea collettiva alla quale partecipò in quell’anno in campagna (era un pioppeto, forse a Carmagnola) da cui prese lo spunto per eseguire la sua opera, immergendo il soggetto nel paesaggio alberato, solcato da linee e costruito dunque su campi di colore geometricamente mossi (ritorna l’impressione di vetri di cattedrali, anche se qui siamo in presenza di scelte cromatiche «naturalistiche»).

«Trasparenze», 1967 (L’eau?) |Oli•011|

Opera di due anni anteriore all’angelo/danzatore (San Matteo, |Oli•028|), al quale è accomunata da identico metamorfismo/trasfigurazione del tema, del soggetto, in questo caso l’acqua di mare, che da soggetto della trasparenza diventa soggetto del movimento e offre quindi il destro al segno per tracciare le sue texture e ritagliare/evidenziare i suoi campi cromatici; dominio di verdi e azzurri, tramati da sottili linee rosse orizzontali. Indispensabile per la mostra.

Alba sul mare, 1967 (Tunnel/Galleria notturna) |Oli•012|

Sembra la tipica opera anticipatrice delle sperimentazioni successive sui temi della scomposizione cromatica e luminosa e sul principio della riflessione. Opera indispensabile per la mostra.

«Pioppi in autunno», 1968 (Alberi gialli e luna) |Oli•015|

Opera che colpisce per la serenità che emana in virtù di una struttura compositiva semplice e elegantemente mossa da gesti curvilinei che evidenziano campi d’ombre e di chiaroscuro. In uno di questi punti di incontro, assai in profondità di campo, parrebbero trovarsi due cavalli in atto di giocare impennandosi. Tripartizione del campo cromatico: giallo, verde e azzurro, con una concessione all’arancio; ritorna la sensazione di scelte cromatiche «naturalistiche» già richiamata nel quasi coevo Il barboncino (|Oli•010|).

Angelo-uccello, 1968 (Angelo/Angeli?) |Oli•017|

Si tratta di opera che compositivamente è assai vicina alla successiva (|Oli•018|) della quale è coeva, ma mi azzarderei a presumere che siano nate praticamente insieme e con medesimo punto focale della costruzione. Mi pare che qui l’Angelo sia quello notturno (creatura degli Inferi, l’Angelo ribelle?; vedi anche l’opera «Riposo» (|Oli•073|) del ’73 dominata anch’essa, anche se in modo meno accentuato, dai toni rossi). Si conserva anche qui la ragnatela strutturale/textura di linee rette e curve che però evidenziano e staccano con maggiore forza e contrasto i tasselli cromatici. La bipartizione cromatica qui vira verso un risultato/esito quasi monocromo, appena «disturbato»/«mosso» da scosse di blu e digressioni in alto a sinistra di gialli. Si mantiene anche l’aspetto zoomorfo. Opera da mostra.

Angelo, 1968 (Angelo/Angeli?) |Oli•018|

Si tratta di un’opera molto bella ed elegante, perfettamente risolta sul piano formale e compositivo/costruttivo, che va inserita nell’ambito tematico dell’Angelo sul quale Valeria ha lavorato con ripetute andata e ritorno, frequenti riprese e abbandoni, praticamente per quasi un decennio e forse più. Si tratta di un angelo quasi zoomorfo, una figura cioè che sembra assumere le forme e le vibrazioni di movimento, di linea e dei toni cromatici di un insetto, di una libellula e che sembra inscriversi in una fitta ragnatela/textura di linee rette e curviformi che attraversano/solcano/strutturano lo sfondo cromaticamente bipartito (alto/giallo, basso/celeste). Opera indispensabile per la mostra.

Fratello sole, c. 1968 (Sole?) |Oli•019|
Sorella luna, c. 1968 (Sole?) |Oli•020|

Si tratta di due opere tecnicamente e tematicamente molto simili e quasi sicuramente vicine cronologicamente. In una il soggetto è colto/rappresentato con la luce intensa/infuocata del mezzogiorno, nell’altro con la luce del meriggio avanzato (o addirittura si tratta di una luna intensa e piena in un sereno e luminoso imbrunire estivo). In ogni caso linguisticamente sono due pezzi particolari, caratterizzati da una stesura cromatica e pittorica insolita, molto lineare, a pennellate larghe e lunghe, ampi raggi di colori. Troppo semplici e «ruffiani» per poter rappresentare degnamente Valeria.

«Nudino verde», c. 1968 |Oli•021|

L’opera è molto bella e delicata. Si tratta di nudo in posizione supina/di riposo su una spiaggia trattato interamente con un cromatismo verde brillante/opaco, per gli effetti chiaroscurali. La pittura risente chiaramente qui, e ne beneficia, della lezione del segno e del senso plastico dei volumi, della Valeria scultore; la tavolozza è quella tipica del primo periodo dell’artista (verde, azzurro, con sapienti ed eleganti contrappunti di rosa e di giallo). Perfettamente risolta, anche sul piano della scelta del formato, emana un senso di grazia e di sereno abbandono non toccati dalla patina del tempo. L’opera a mio avviso deve essere esposta.

Budda, 1969 (Forme?)|Oli•023|

Pare si tratti di un esempio assolutamente isolato di pittura astratta di impianto «costruttivista» o comunque con chiari riferimenti ad un’astrazione centrata su strutture e forme geometriche risolte/realizzate con l’impiego di una materia pittorica piuttosto densa e movimentata da ampie e ripetute spatolate. Da una sfera rossa (già i soli che incontreremo tante volte nei lavori dei periodi successivi?) parte una linea dall’andamento quasi spiralico e senza soluzioni di continuità che disegna nel campo azzurro dello sfondo quasi monocromo una serie di rettangoli quasi concentrici e inscritti l’uno nell’altro; gli ambiti della sovrapposizione di queste forme generano diffrazioni tonali e cromatiche. Il tutto si trova inscritto in un ampio campo ovale, attraversato da una diagonale e da una linea orizzontale, che pare già presentare il principio costruttivo/compositivo dell’alto/basso e quello tematico della riflessione (il sole riflesso). Opera utile/necessaria per la mostra. Æ tav. iv

Sunny blue, c. 1969 (senza titolo)|Oli•024|
Sunny yellow, c. 1969 (senza titolo)|Oli•025|
Sunny red, c. 1969 (Il sole)|Oli•026|

… per questo motivo non è possibile datare con certezza il lavoro, che comunque dovrebbe collocarsi intorno al 1970; v. come esempio il nudo «Nudo» (intimità) |Oli•039| di quell’anno al quale si avvicina per tavolozza e materia pittorica. Il soggetto è risolto con un taglio a cielo quasi pieno, linea d’orizzonte che delimita la fascia di verde assolata molto bassa. A quest’opera vanno avvicinati altri due lavori, il primo (|Oli•024|) in tono blu, e l’altro (|Oli•025|) in tono giallo senape. Entrambi ripetono il soggetto «Sole» con esiti pittoricamente differenti: il secondo in particolare riprende l’impostazione dello spazio/il taglio della precedente opera. Dovrebbero appartenere allo stesso momento, ma entrambi danno l’impressione di non essere compiutamente risolti e dunque non considerabili finiti.

«Paesaggio rosso», 1969 |Oli•027|

Si tratta di un paesaggio, come dice chiaramente il titolo, vestito di rosso e contrassegnato da una textura che si incentra su un ampio movimento curvo (quasi un’ellisse) dalla quale si irradiano le linee quasi a raggiera. Nonostante la chiara presenza di questa «struttura» compositiva l’opera è caratterizzata da una buona/notevole profondità di campo e presenta tasselli/campiture cromatiche mosse e vibrate. La simbologia degli alberi è quella tipica di Valeria: sfera e bastone, con tratto curvilineo a metà di ripresa o rimarco. Opera da esporre, che si colloca tra i molti paesaggi della fine degli anni ’60.

San Matteo, 1969 (Angelo?)|Oli•028|

Dovrebbe appartenere alla serie degli «angeli»; in realtà, più che all’iconografia angelica, usando il veicolo delle ali/braccia, mi pare costituisca un inno alla danza, al ritmo e alla musica che il segno, imitando la gestualità e le cadenze dei movimenti degli arti superiori di un ballerino, traccia con morbide linee sulla tela, liberando/ritagliando spazi al colore, trattato in sovraesposizione. Indispensabile per la mostra.

Sorpresa notturna, c. 1969
(senza titolo)|Oli•031|

Il soggetto rappresenta una villa nel parco seminascosta da alberi; il soggetto è trattato pur sempre con suggestione riflessiva, con un grande flou/occhio di bue focale giallo luce in mezzo al quadro.

«In campagna», 1970
(Fiore/Infruttescenza?)|Oli•033|

Lavoro bellissimo, di grande respiro compositivo ed emozionale. Qui Valeria sembra superare se stessa e anticipare il passaggio dal piano della mimesi/rappresentazione a quello dell’astrazione della percezione che caratterizzerà i lavori più maturi di fine anni ’70-’80. La struttura del quadro è tutta un’infruttescenza, delicatamente/elegantemente tenuta insieme/strutturata dai campi texturizzati delle foglie e dall’iridescenza/riilesso che si irradia orizzontalmente prima e circolarmente poi dal vertice dello stelo, anch’esso reso dalla luminosità del cromatismo rosso/arancio impiegato, quasi trasparente. Lavoro forse tra i più belli e rappresentativi della personalità di Valeria. Assolutamente da esporre.

Nudo disteso, 1970 (Nudo)|Oli•036|

Toni cromatici affascinanti verde acqua, gialli, aranci, rosa. Figura non perfettamente risolta sul piano dei volumi, se vista frontalmente, intrigante se vista con angolo a 45°. Appare come sospesa tra due sfere/piani curvilinei di appoggio sui quali in realtà non appoggia. Probabile per la mostra.

Nudo assolato, 1970 (Nudo)|Oli•037|

Opera straordinaria per la luce che la sostanzia e che emana. Ancora una volta c’è un gioco sull’angolo visuale, che però in questo caso è risolto anche da un punto di vista frontale ed è tri-angolare. Risolti i rapporti volumetrici della modella (lei?) in tutti e tre i casi. Potrebbe essere un après midi in un prato; splendida perché azzardata la scelta del quasi bicromo (vermigli-aranciati-gialli). Assolutamente da esporre.

Nudo assopito, c. 1970 (Nudo)|Oli•038|

Opera che probabilmente è più tarda rispetto alle precedenti. Compare infatti l’elemento della sfera/sole/riflesso di controluce e una materia pittorica più liquefatta, acquarellata, colante tipica di lavori più tardivi, per quanto riguarda lo sfondo. La figura risulta ricoperta/ ritentata più volte e forse non accettata. Potrebbe essere stato considerato da Valeria stessa non finito. Figura distesa che cercava ascendenze matissiane? 

«Nudo» (intimità), 1970 (Nudo)|Oli•039|

Opera bellissima. Indispensabile per mostra.

Nudo solitario, 1970 (Nudo)|Oli•041|

Angelo riferisce che Valeria lo considerava un pezzo non completamente risolto. I volumi in realtà sono decisamente interessanti e segnati dalla lezione del disegno scultoreo (da modella). Pare uno studio di colore, considerata la netta contrapposizione tra i blu e i gialli.

Pierrot, 1971 (Nudo)|Oli•042|

È un nudo decisamente particolare, pittoricamente complesso e ben risolto, anche se caratterizzato da evidenti debiti con le lezioni di Gauguin e di Matisse; la figura femminile è avvolta/fasciata (il torso) in una campitura di verdi-blu ed è tuffata per le restanti parti del corpo, seduto, in una trama di segni e di tocchi cromatici che sembrano ricordare gli effetti di un tappeto. Mi pare comunque indispensabile per la mostra.

Preghiera sull’acqua, 1971
(Preghiera?)|Oli•043|

È una figura genuflessa colta nell’atto di pregare/specchiarsi/bagnarsi in uno specchio d’acqua? Intensa, palpitante, mi pare addirittura volutamente non celata la suggestione della lezione di Matisse, soprattutto per quanto attiene la tavolozza cromatica e i suoi rapporti interni (campo verde/blu, campo rosso/arancio). Pare che Valeria tenesse molto a quest’opera.

Riposo al sole, 1971
(Nudo disteso sull’erba?)|Oli•044|

Continuano ancora ascendenze matissiane, più aspre e spigolose, risolte in una sintesi stilistica di «acuti», «accenti» quadripartiti in campi netti. Bella e movimentata/dinamica la stesura del colore/pittura. È da mostra?

«Meriggio», 1972
(Paesaggio collinare?) |Oli•054|

Opera che si colloca nella fase in cui la ricerca verso una forma personale di astrazione, comunque sempre lirica, del linguaggio pittorico di Valeria scivola/devia/vira verso moduli un po’ da pittura astratta centro europea e francese post-espressionista (anni ’40). Questo lavoro mi sembra comunque collocarsi all’interno di/accanto ad una serie di lavori (v. Festa d’estate, |Oli•053|, «Monoliti» |Oli•055|, Vigneti sotto la neve a Ramàts, |Oli•058|) del ‘72 nei quali Valeria ha cercato a mio avviso di scandagliare le possibili valenze lirico-astratte del motivo/tema paesaggio in alcune sue forme e momenti di luce, cercandone i diversi esiti emozionali. Qui sembra di avere davanti un paesaggio collinare colto in un momento di luce e stagione in cui i colori sembrano confondersi, diventare indefiniti fino al punto di virare verso un esito straniante. Il risultato dell’opera è compositivamente/cromaticamente molto bello ed elegante; la profondità di campo è solo sottilmente accennata, tant’è che ad una prima impressione/lettura la veduta sembra piatta e lo scorrimento dell’occhio solo verticale. Assolutamente da esporre. Æ tav. vi

«Dalla finestra», 1973|Oli•056|

Si tratta di un lavoro semplice ed elegante, compiuto/risolto con l’impiego dell’alternanza tipica di Valeria di materia asciutta e «terrosa/corposa» e di stesura del colore ben più liquida (tipo gouache). Appartiene alla contemporanea serie dei paesaggi e degli alberi. Il soggetto ed il taglio prospettico/percettivo/ dello sguardo ci riconducono ad immagini di Menzio e di Paulucci, ma qui la freschezza di esito è di gran lunga personale. Potrebbe essere preso in considerazione per la mostra.

«Paesaggio» montano, 1973 |Oli•057|

È un’opera isolata, sganciata dal punto di vista tematico dal resto della produzione coeva. Si tratta di un paesaggio montano (forse una veduta familiare come quelle che poteva cogliere nelle frequentazioni festive a Bardonecchia?) governato dai toni blu, verdi e rosa e dalla tecnica a spatola. Questo tema ricomparirà nei lavori degli ultimi anni.

Vigneti sotto la neve a Ramàts, 1973
(senza titolo) |Oli•058|

L’opera è interessante per l’insolita tavolozza cromatica/gamma colori e toni praticata. In questo caso prevalgono infatti chiaroscuri piuttosto accentuati (reticoli/texture/filari e terrazzamentì) dati da bianchi della neve contrapposti a bruni/bordeaux/viola/neri e solo qualche sfiorato cenno di blu. È una sorta di motivo ascendente, l’ascesi costretta del colore verso il purgatorio (che coincide con la parte superiore del lavoro) della totale liberazione del colore. Potrebbe, forse, risultare indispensabile alla mostra (a seconda del taglio che sceglieremo di darle).

«Paesaggio» con albero, 1973
(Ombra blu?)|Oli•059|

Il soggetto/tema è ancora una volta, chiaramente, l’albero, questa volta blu scuro (prussia/quasi nero), un albero che volge verso una scarnificazione metamorfica di sentore sutherlandiano e che segna/struttura l’opera per quasi tutta la sua verticale, coronato nella parte superiore da una sfera infuocata (il sole?): tale verticale evidenzia una grande macchia blu, sotto di sé e sul proprio lato destro fronte quadro. Compaiono, come spesso, motivi decorativi/ornamentali (segni, simboli, presenze della natura – alberi, fronde, covoni – e no). Interessante, ma non indispensabile per la mostra.

«L’Albero verde», 1973 |Oli•061|

Opera di piccole dimensioni, ma intensa, serena, nella quale, come in molte altre, prevale/compare – in virtù delle scelte cromatiche operate – il giuoco dei riflessi, di un campo che si ripropone, intagliandovisi, in un altro. Opera da mostra.

«Alberi», 1973|Oli•063|

Il soggetto risulta chiaramente leggibile, la costruzione del segno, delle linee, che in Valeria in molti casi assume carattere dominante, qui non diventa metamorfizzante; gli alberi sono lì, leggibili, venati di rosso (tronco e rami) e «frondati» di verde e di azzurro; il clima pare quello di un crepuscolo, o in effetto visivo di controluce.

«L’Albero», 1973 |Oli•064|

Opera strana ed enigmatica, per la contorsione del tronco e lo stridore cromatico, surreale, che invade l’opera: il rosa del cielo contrapposto al blu delle colline, con il buco vermiglio/carminio del sole che perfora le fronde dell’albero.

«Sole (il tondo n 1)», 1973|Oli•065|

Il soggetto è chiaramente floreale, organizzato in guisa di fascio circolare/curvilineo (ecco l’elemento compositivo caro a Valeria che ritorna: che valore simbolico può avere?). È un grande vaso di fiori senza contenitore, oppure un grande catino/cratere nel quale potrebbe riassumersi una natura ideale stilizzata ed un particolare ingrandito con effetto «teleobiettivo»? O ancora potrebbe essere una veduta dall’alto, una sorta di fermo immagine in loop rovesciato (curva discendente). A parte le interpretazioni che si possono cercare, si tratta sicuramente, a mio avviso, di un’opera essenziale, per apertura di immagine e per rigore formale, per l’organizzazione della mostra.

«Ortensie rosse (il tondo n 3)», 1973 |Oli•067|

È un pezzo assolutamente magico, un paesaggio stravolto e sconvolto dalla presenza incombente, predominante, di una palla/sfera infuocata, tramata da linee e da macchie, che ne sposta ai confini le tracce (alberi, curve di colline, ecc.). Torna, mi pare, in maniera preponderante/decisa il motivo/gioco della riflessione. A mio avviso, indispensabile per la mostra.

«Giochi di luce sull’acqua / Immersione», 1973
(Riflessi d’acqua/Ondine n 2)|Oli•068|

A distanza di ben 6 anni dalla bellissima tela «Trasparenze» 1967 (|Oli•011|), quest’opera ripropone il soggetto/tema dei riflessi d’acqua, delle trasparenze acquatiche con una delicatezza cromatica forse fin troppo pastellosa ed edulcorata (se non avessi conosciuto Valeria userei l’aggettivo «quasi ruffiana»). Da un punto di vista formale l’opera è ineccepibile: compositivamente risolta, cromaticamente equilibrata e giocata in tutto sul valore della digressione, ben dipinta e mossa da un elegante contrappunto di forme circolari e linee curve e ondulanti. Ma il quadro è fin troppo bello e piacevole. Non mi sembra dunque opportuno esporlo in una prima fase, per non dare adito a ipotesi di cedimento nel lavoro di Valeria.

«Sul Prato», 1973
(Ortensie rosse?) |Oli•069|

Lavoro che incuriosisce perché appare dismessa la tecnica della spatola e compare invece quella del pennello «ciuffato», insieme con la ripresa di un soggetto (gli uccelli) sovrapposto/disegnato sopra al campo/tema principale, quella di un prato e, forse, di albero/siepe di ortensie rosse.

Giardino orientale, 1973 (Giardino)|Oli•070|

Il soggetto è chiaramente un giardino/parco trattato a piani prospettici come se la veduta fosse da un’altura antistante. Il registro mi pare sensibilmente naïf, così come la tavolozza, virata verso una contrapposizione ritmica di toni rossi e verdi, gioiosamente contrappuntati da frasi/strisce e macchie di giallo. Mi suona come una bella ed interessante sinfonia di colori che decantano/sospendono e traspongono dal piano naturalistico a quello delicatamente visionario il soggetto. Æ tav. vii

«Riposo», 1973 (Angelo caduto?)|Oli•073|

È di nuovo un lavoro straordinariamente intenso e risolto sul piano formale, bello e inquietante. Una donna-angelo, caduta/precipitata, le cui ali si trasformano in un giaciglio di piume/vetri/cattedrali Ritorna la suggestione di Matisse (rossi, verdi, gialli, blu vibranti) su una sfera di sfondo che è un gioco di controluce esasperato fino al bianco quasi assoluto del quale è investito e pervaso il corpo della figura. Assolutamente da esporre. Æ tav. viii

Paesaggio al sole 1, 1974
(senza titolo)|Oli•074|

Parrebbe la decostruzione/scomposizione/dissoluzione di un paesaggio nelle luci del tramonto, campeggiato in alto da una sfera rosso carminio; i toni rossi, compresi i vermigli e i rossi rosati, sono dominanti, così come la tecnica spatolata.

Paesaggio al sole 2, 1974
(senza titolo)|Oli•075|

Pezzo del tutto simile a quello precedente; il clima richiama però il momento del meriggio (o quello dell’alba), campeggiato da un sole (?) giallo ocra, sfondato da un campo bianco e dominato da un campo azzurro. Tecnica spatolata un po’ meno abbondante.

Papaveri nell’acqua, 1974
(senza titolo) |Oli•076|

Pezzo incazzato, dominato dal blu con una registrazione di molteplici variazioni chiaroscurali, dal blu plumbeo a quello oltremare; su questa tavolozza quasi monocromatica si accendono come dei fari, dei falò notturni (papaveri rossi). Pare riapparire anche il principio, il motivo della riflessione, sottolineato dal campo verde che si dilata accendendosi nella parte inferiore dell’opera. Interessante per la mostra.

Albero-foglia, 1974
(L’albero/la foglia) |Oli•077|

Potrebbe appartenere alla serie degli alberi? Il soggetto appare inscritto in una sfera, in un movimento circolare di sottili campi cromatici vivaci e complementari. Nella parte bassa dell’opera, Valeria pare essersi divertita a esaltare le nodosità della trama di juta (imperfezioni) trovate per caso. Pezzo notevole per la sua linearità e semplicità.

Leggiadria, 1975 (Nudo) |Oli•078|

Valeria la considerava un’immagine un po’ troppo pin-up; l’opera in realtà mi sembra da un punto di vista formale assolutamente risolta, l’atmosfera è trasognata, quasi irreale, come sottolineano le linee trasversali campite dai toni verdi; la figura femminile, assai graziosa, risolta in rosso, contrasta bene con il fondo azzurro, verde-blu e rosa.

Meditazione, 1975 (Nudo) |Oli•079|

È un nudo intenso e plastico, dai toni sfioratamente matissiani, che unisce raccoglimento e pudore della posa ad una materia pittorica resa con asciuttezza. Lo sfondo verde è contrappuntato da macchie/colpi rosa che diventano buchi/trame di mezza luce filtrante. La figura è densa e raccolta, caratterizzata da un’acconciatura/chioma bellissima proprio perché pervasa/penetrata – come il corpo nudo – da una luce surreale. Può essere da mostra.

Nudo tra le acque, 1975
(Nudo nell’acqua)|Oli•080|

Come nel caso del Nudo seduto sul letto, 1975 (|Oli•081|) e del quale è praticamente coevo, anche in questo lavoro si propone un’elegia e un’eleganza composta ma capace di sfiorare la dimensione dell’irreale. Anche qui l’incarnato acceso, rosa-carminio, dal tronco in giù, e più ammorbidito nella parte superiore dove affonda in un cielo/sfondo (?) bellissimo di un rosa ocra quasi antropomorfo (una sorta di rovesciamento del surrealismo). Attorno al nudo galleggiano (come là il motivo floreale) qui conchiglie/chiocciole, motivo spiraloide che contrappunta, su di un piano prospetticamente equivoco (non si capisce se stanno davanti o dietro o sullo stesso piano della figura) questo bel nudo, di plastica eleganza e postura ritta, che però potrebbe risultare anche nuotante. L’opera è da mostra.

Nudo seduto sul letto, 1975 |Oli•081|

Si tratta di un’opera assolutamente magica e dall’impatto potente, deliberato/cercato con la scelta di un incarnato rosa-carminio. Il nudo ha proporzioni scultoree ed è a grandezza quasi naturale. Quello che colpisce non è tanto l’aspetto plastico e anatomico del soggetto, che peraltro esiste, quanto il bilanciamento dei campi/piani tonali (l’acceso dell’incarnato con il dualismo sfumato dello sfondo di ocra-giallo e verde) ed il senso di sospensione/riflessione – al limite dell’irreale – che deriva dalla fluttuazione del motivo floreale, che si stacca dalla parete/tapisserie e galleggia nell’aria, e dalla fuga della struttura del letto/canapé, sguinciato sul lato destro per poi vederlo comparire dallo sfondo sul lato sinistro. Mi sembra quasi che Valeria abbia cercato di sottolineare, e sia riuscita nel farlo, l’atto di pausa meditata/di riflessione mesta nella quale è stata colta la figura femminile nuda. Mi sembra che riaffiorino tocchi e atmosfere matissiane. Assolutamente da mostra.

Pastorale 1, 1975
(Vela?) (Pastorale?) |Oli•084|

Mi pare che si ripresenti, come già in altri lavori, il soggetto di una imbarcazione a vela che procede di bolina, vista frontalmente. Potrebbe confermare tale ipotesi la riflessione della sagoma di una chiglia nella parte bassa, in cui sono inserite firma e data. È una festa di verdi, erosa/lampeggiata da tocchi di rosso, che intervengono proprio nei punti chiave a confondere l’identificazione del possibile/presunto soggetto (in grande campitura gialla). Il pezzo è da catalogo.

Cromo-semine 1, 1975
(senza titolo)|Oli•086|

Fa parte di una serie di 7 lavori, da |Oli•086| a |Oli•092|, di cui 5 firmati e datati, caratterizzati da una disseminazione cromatica e rarefazione delle forme che raggiunge la totale sgranatura/esplosione, il più pieno aniconismo. Sono caratterizzati da un tavolozza unitaria, consueta per Valeria, che va dai rossi accesi ai blu oltremare e scivola verso i verdi brillanti e i gialli vivi/pura luce, passando per i rosa e gli azzurri più tenui e delicati. Il caso dell’opera qui riferita mi sembra si tratti di un’esasperazione dell’effetto del controluce su elementi di paesaggio o di marina, con una textura aniconica molto bella. Opera da mostra.

Cromo-semine 2, 1975
(senza titolo)|Oli•087|

Qui mi sembra che il paesaggio diventi «vespertino»; la textura si organizza, come nel lavoro successivo, su un asse verticale sul quale appoggia, nel mezzo dell’opera, un arco di circonferenza: significativo che quest’asse coincide con la «vena di rosso» nell’impianto cromatico. Opera da mostra.

Cromo-semine 3, 1975
(senza titolo)|Oli•088|

Si potrebbe intuire, con un po’ di immaginazione, che l’asse centrale di organizzazione della textura, qui solamente verticale, sia il tronco sdoppiato di un albero (pioppo?). Opera da mostra.

Cromo-semine 4, 1975
(senza titolo) |Oli•089|

La textura qui pare «mimetizzare» le fronde di un albero/pianta fiorita nel pieno meriggio, con le trasparenze/infiltrazioni di luce già un po’ stemprata che la caratterizzano. Questo, come quello successivo, |Oli•090|, sono i due pezzi formalmente più compiuti e risolti sul piano formule e del risultato del piccolo “ciclo”. Opera da mostra.

Cromo-semine 6, 1975
(senza titolo) |Oli•091|

L’impostazione della textura aniconica qui va a sfiorare più chiaramente un esito di valenza «surreale», con la resa del segno che lo organizza secondo uno schema, che ritroviamo in altri momenti del lavoro di Valeria, che sembra voler rendere una natura zoomorfa. Opera da mostra.

Cromo-semine 7, 1975
(senza titolo)|Oli•092|

Questo lavoro si affianca a Cromo-semine 6 di quel ciclo, coevo e del quale costituisce una sorta di ideale prosecuzione/variazione, quasi a costituire un ideale/possibile dittico. Valgono per esso le considerazioni di carattere stilistico, linguistico e formale fatte per la serie dei cinque lavori precedenti. Opera da mostra.

Vele, 1975 (Vele/Vela) |Oli•093|

È sufficientemente leggibile il soggetto, nel campo centrale, di una vela, dentro la quale potrebbero trovarsi inscritte delle altre, che rivela una assolutamente personale e intelligente/ironica rilettura della lezione di Paulucci. Indispensabile per la mostra.

Vele di bolina, 1975 (Vele/Vela)|Oli•094|

È di nuovo ben leggibile il soggetto della vela, potrebbe essere un catamarano o una barca che procede di bolina, con la chiglia riflessa e diffratta nell’acqua, un mare di rosa in un cielo d’acqua di blu e verdi (Riccione?). Sicuramente indispensabile, a mio avviso, per la mostra.

Fiamma-vela, 1975 (Vele?)|Oli•095|

Quest’opera appartiene sicuramente alla coeva serie delle «Vele» nella quale il soggetto, di derivazione paulucciana viene trattato con ironia e risolto in una esplosione di toni cromatici e di luce (questo in particolare è giocato sulla sovraesposizione e sul controluce) che fa pensare piuttosto a Mee che al piccolo maestro torinese, troppo ossequioso nei confronti di un formalismo di impianto di segno borghese, v. la «Marina», che sicuramente Valeria non poteva condividere. È un’opera davvero bella e indispensabile per mostra e catalogo.

Sole-Angelo, c. 1975 (Sole/Angelo)|Oli•096|

Il soggetto è di difficile decifrazione; a me sembra soprattutto un angelo di natura antropomorfa con le ali spiegate, ma potrebbe essere anche un paesaggio «guardato» da un sole enigmatico e fuggente che lo attraversa ed organizza con il suo fascio di luce giallo-verde dal movimento discendente, a cascata. Mi sembra comunque un’opera compiuta.

Sole egizio 1, c. 1975 (Sole/Angelo)|Oli•097|
Sole egizio 2, c. 1975 (Sole/Angelo)|Oli•098|
Sole egizio 3, c. 1975 (Sole/Angelo)|Oli•099|

Tre lavori piccoli, di identico formato e supporto, quasi un trittico in sequenza, che con il lavoro precedente (|Oli•096|) presentano molte affinità, a cominciare dalla tavolozza cromatica e dalla materia pittorica, oltre ad identico formato e supporto, come già detto. Rispetto al precedente qui la tavolozza cromatica presenta però toni meno accesi e più equilibrati/armonizzati; in particolare è annullata la predominanza del rosso carminio/porpora, che in questi tre lavori è presente solo a titolo di piccoli tocchi/cenni. Il soggetto è anche qui di difficile lettura, ma permane costante in me la sensazione di trovarmi di fronte ad una visione metamorfica del tema del Sole/Luce che travasa/tramuta in quello dell’Angelo. Mi pare confermarlo la stessa possibile sequenza d’ordine del ciclo, con al centro |Oli•098|, il lavoro dove la Luce è quasi palesemente «angelica»/«spirituale», caratterizzata da una discesa di vigore e di abbraccio sulla terra e sulla natura. Per quanto riguarda la datazione, azzardo una prima ipotesi di collocare questi tre piccoli lavori ed il precedente nell’arco di tempo che sta tra il 1975 ed il 1977.

Alberi sul fiume, 1975 (senza titolo)|Oli•100|

È un dipinto intrigante, ma assai sfuggente, dove le linee sono ridotte all’essenziale e non offrono molti elementi per una sicura decifrazione, lasciando assoluto spazio ai tre campi cromatici, ben risolti (inferiore, blu, superiore, verde, striscia intermedia, rosa). Lo considero da mostra, ma occorre raccogliere più elementi.

Paesaggio urbano, 1975 |Oli•101|

Si tratta di un’opera piccola ma intensa, assai particolare per l’epoca, uno spaccato/squarcio di vermigli (una città trapuntata/segnata da luci/finestre) all’interno di un paesaggio di verdi. Includerla nella mostra potrebbe costituire forse un azzardo.

«Pastorale n 2», 1977 |Oli•108|

È un lavoro che presenta notevoli similitudini con «Pastorale 1» (|Oli•084|), al punto che parrebbero quasi un dittico (se non li differenziasse il formato): il campo centrale è sempre giallo, contornato di una grande zona di verdi, che però qui si smorzano venandosi di aranci, rossi vermigli e appoggiandosi su una sciabolata di blu (quasi una base lacustre). Il pezzo è da catalogo. Æ tav. x

Vista sul mare, 1978 (Paesaggio?)|Oli•111|

L’opera è cromaticamente accesa, ma non equilibrata, completamente risolta. La divisione dei campi appare infatti troppo netta e contrapposta. La pittura è anche qui caratteristica del resto di quegli anni, densa/pastosa ma stesa quasi esclusivamente a pennello. L’unica nota davvero interessante è costituita dalla zona centrale inferiore del quadro, un’immagine che ricorda colline/declivi più che campi piani, texturizzati dalle diverse colture, che si trova inserita/avvolta in una sorta di volume/forma di suggestione quasi «uterina»: affiora l’idea di una natura grembo materno? Troppo accesi i blu però dell’orizzonte che strutturalmente divide il cielo dalla terra. Non mi pare essenziale per la mostra.

Pianeti 1, 1978
(Pianeta/Mondo/Stella/Sole?) |Oli•112|

Delle tre opere che stiamo esaminando in parallelo (|Oli•113, 114|) è sicuramente quella più compiuta e folgorata; potrebbero intravedersi passioni per Sutherland ed Ernst (abbastanza annacquate, comunque). Davvero bella e sofferta, per il travaglio della riuscita che si percepisce dalla ricca stesura cromatica, frutto di riprese e sovrapposizioni, e il tema presunto, dei pianeti, mi pare qui di chiara lettura.

Pianeti 2, 1979
(Pianeta/Mondo/Stella/Sole?)|Oli•113|

Opera assai simile alle altre due (|Oli•112| e |Oli•114|). Anche qui la luce che irradia dalla tela è notevole; ritorna il movimento danzante delle linee; affascinante la contrapposizione cromatica tripartita dei campi di verde, di blu e dei rosa «riflessi». Opera da esporre. Æ tav. xi

Pianeti 3, 1979
(Pianeta/Mondo/Stella/Sole?)|Oli•114|

Tela davvero interessante sia sul piano della vibrazione della materia pittorica sia su quello della vivacità di composizione cromatica e della luce che irradia. Opera da esporre e riprodurre.

I due soli, 1979 (Riflesso?) |Oli•115|

Siamo nell’ambito tematico della produzione di Valeria che ha a che fare con i riflessi/il riflesso all’interno di/che coinvolge un paesaggio magico e incantato. In questo caso c’è un campo/collina (campitura dei toni verdi) che attraversa l’opera in orizzontale e la contorna sul lato destro; nella zona centrale il sole reale (perfetta sfera di materia rossa abbastanza densa) – l’alto – si ribalta/rovescia/duplica nel suo analogo riflesso ingrandito – il basso –, che sembra anche qui voler originare un gioco di movimenti circolari, danzanti, vorticosi appena accennato. Materia densa e asciutta: ritorna il modulo cromatico tripartito (rosso, dominio del giallo, verde). Opera indispensabile per la mostra.

«L’albero rosso», 1980 |Oli•116|

Si tratta di un’opera bellissima, viva e piena di luce nei toni sfumati delle campiture. L’albero potrebbe essere un glicine dalle strane fronde rosse e dai rami blu che cova dentro di sé la bellezza del movimento e della profondità.

«Composizione», 1980 |Oli•117|

È un’opera molto interessante (premonitrice/anticipatrice) costruita su un movimento curvilineo a spirale/verminoso organizzato intorno a toni cupra/purpurei, blu e verdi. Meno preciso e curato sul piano estetico ma sicuramente di maggior efficacia e immediatezza comunicativa di altri (un po’ più «informale»). Mi sembra che possa ricondursi a una vaga/larvata idea di paesaggio o uomo dinamico. Opera, a mio avviso, da mostra.

Paesaggio, c. 1980 |Oli•118|

È un’opera che risente, palesa echi quasi del primo Malevich, quello «naturalistico», fresca e vivace, leggera eppure ben risolta, contrassegnata da una buona profondità di campo, nella quale «affondano» le luci azzurre del cielo che traspare attraverso i segni della natura (linee nere e toni cromatici rossi e verdi); sembra intravedersi la sagoma di un albero e la presenza di una trama di rami nella metà sinistra verticale della tela. La tavolozza e la sonorità cromatica, la costruzione dei toni e la presenza di quelle forti/dense linee nere fanno pensare ad una possibile collocazione temporale dell’opera intorno al 1980, vicina cioè a «Composizione» (|Oli•117|) e «Riflessi» (|Oli•122|).

«Composizione: il vento» 1, 1981|Oli•121|

La profondità qui è buona, le sciabolate delle linee trasmettono la sensazione, quasi fisica, del vento e dei suoi effetti (l’accorparsi e confondersi di suoni e colori, il disegnarsi di curve, di vortici; belli i colpi di luce di bianco in mezzo alle colature blu). Mi sembra indispensabile per la mostra.

«Riflessi», 1981 |Oli•122|

Appartiene alla stagione nella quale la pittura si fece più densa/spessa e un po’ più costruttiva/costruttivista/kandiskijana. Il campo dell’opera è ripartito in zone cromaticamente distinte, complessivamente solari, attraverso le linee/segni di demarcazione sia curve che rette che sembrano incontrarsi tutte nella zona centrale a sinistra dell’opera dove si accavallano, si intrecciano confondendosi e confondendo i colori, evidenziando così una sorta di area/territorio/zona che pare quasi una microvetrata multicolore.

Diffrazione 1, c. 1981 (senza titolo)|Oli•123|

… il soggetto pare volutamente, e a me sembra, abilmente camuffato. Potrebbe però trattarsi di un pezzo che appartiene al periodo e alla serie delle «Vele»: me lo fanno pensare la tavolozza cromatica, il movimento danzante e come rotatorio (giocato/imperniato su un asse centrale) delle linee curve e la sensazione che ci si trovi di fronte ad una vela che per incanto ottico si moltiplica, si sdoppia, si triplica a volte all’interno, altre, come qui, all’esterno.

«Riflesso», 1985 |Oli•124|

Opera bellissima perché, come nei momenti più felici della produzione di Valeria, ha il coraggio della semplicità unito a quello dell’astrazione e dell’eleganza sul piano formale. La materia/stesura coniuga pastosità e colature morbide e sensuali. Sul piano tematico l’idea della riflessione è interpretata secondo il modulo della circolarità, del circle game, del vortice, della danza (gli ampi cerchi tutti in giro di cui è piena la grande coreografia di inizio secolo). Dal punto di vista cromatico l’opera è quadripartita (dal basso verso l’alto: verde, giallo, rosa e celeste) costruita con ritorni intermedi. Mi sembra che si tratti della riflessione del sole/della luce solare all’interno di un paesaggio magico ed essenziale (al limite di un’astrazione quasi totalmente aniconica). In questo caso l’aderenza al soggetto di tipo rnimetico/rappresentativo viene «tenuta» sul piano del simbolismo cromatico. Opera indispensabile per la mostra. Æ tav. xii

«Volo» 1, 1985 |Oli•125|

Siamo di fronte ad un’opera decisamente compiuta, elegante e trasudante leggerezza. L’impianto costrittivo/la struttura compositiva è il frutto/risultato della sovrapposizione volumetrica di ali/voli, punto di incontro della gestualità più libera e felice di Valeria con l’equilibrio sonoro dei colori/dei campi cromatici. In questo scenario/su questa superficie si vedono/intravedono ali di insetti frullanti, ali spiegate e assai più ferme di uccelli, boomerang (indice metaforico della presenza dell’uomo?) e, ancora una volta, su tutto, straordinarie perché timide e nascoste curve/voli di danza. A sinistra in basso uno squarcio di azzurro, una sciabolata triangolare, rompe la quasi monocromia di una textura rosa/rosso/gialla: è uno spicchio di cielo sotto di noi? Indispensabile per la mostra.

«Volo» 2, c. 1985
(Il vento?/Il volo?) |Oli•126|

In quest’opera Valeria ha raggiunto/toccato, a mio avviso, la leggerezza assoluta nella trasposizione del suo mondo interiore. C’è una natura presente, nella striscia inferiore del quadro, già mossa dal vento, dall’aria che pare insinuarsi in quelle pieghe di verde; da quella zona sale il volo/movimento che riesce a trasformare il tutto in un cosmico moto dell’aria, in una danza del vento. Il paesaggio/la natura diventa così in questo quadro una grande festa eterea, una textura impressionante perché magica di curve, volute, avvitamenti, volumi cromatici concavi e convessi. La leggerezza della 3/4 superiore è contrappesata dal maggior peso cromatico dei tratti rossi e delle verdi trame che costituiscono quasi un contrappunto/sintesi di quella fantastica libertà. Perché mai un’opera così bella non è stata da Valeria firmata e datata (in qualche modo certificata?). L’opera è di nuovo essenziale per la mostra.

«L’albero rosa», 1985 |Oli•128|

L’albero è segnato dalle linee blu del cielo ed è dominato dai rossi e dai verdi; qui la lezione della profondità di campo e di percezione mi sembra risolta, acquisita. Può entrare in mostra.

«L’albero azzurro», 1985 |Oli•131|

Come «L’albero rosso» (|Oli•116|) è un’opera davvero notevole ed assolutamente compiuta, che alla forza della luce e dell’equilibrio cromatico aggiunge (sono passati cinque anni dalla precedente) quella dell’eleganza e del movimento del segno pittorico, che a tratti sembra quasi sfiorare la velocità e l’istintualità del gesto.

«Albero», 1985 |Oli•132|

L’opera è attraversata da/si struttura su una serie di linee diagonali/orizzontali/verticali (simulazioni della organizzazione delle fronde/rami di un abete/larice). La bellezza/l’interesse specifico del pezzo sta nel contrappunto di tratti/segni rossi e azzurri nel mare consueto e predominante dei toni rosa e verdi brillanti. Potrebbe essere da mostra.

«Composizione: il vento» 2, 1985 |Oli•133|

Si tratta di un’opera sicuramente molto bella, a testimonianza, se ce ne fosse bisogno, di una straordinaria felicità e fertilità incontrata/trovata nel 1985; qui però l’idea è più quella di una magia cosmica, di un risultato/effetto siderale/astrale, e non a caso la pittura diventa più gestuale, la struttura compositiva più segnica (orchestrazione di gesti segni) e quella leggerezza che ci ha meravigliato prima diventa energia, di nervature e di tratti cromatici. Ad un punto tale che la stesura diventa turgida e quasi materica. L’opera è comunque indispensabile per una mostra, proprio per il controcanto che è in grado di innescare con «Volo» 1 (|Oli•125|) e «Volo» 2 (|Oli•126|).

«Composizione: il vento» 3, 1985 |Oli•134|

Qui la pittura diventa colante, grondante, quasi a voler indicare un’atmosfera ventosa in una giornata di pioggia. Forse proprio per questa ragione l’aria non si solleva, la forma compositiva del quadro non si apre, ed i segni sembrano avvilupparsi su loro stessi. Non per questo l’opera risulta irrisolta: tutt’altro. Si percepisce come una corrente di vento da sinistra verso destra che gli infonde un energico movimento, generatore di una sorta di vortice contrappuntato tra l’alto e il basso del lavoro. Il cromatismo è più forte e acceso che nei tre lavori precedentemente esaminati (verdi, rossi e blu dominanti ed intensi). Mi pare ancora un’opera da mostra, utile a comprendere il lavoro di Valeria in tutte le sue sfaccettature emozionali e stilistiche.

Maschera urbana, 1986
(Paesaggio urbano/notturno?) |Oli•135|

Opera a mio avviso davvero interessante, ben risolta sul piano pittorico. Dico questo in ragione della «giustapposizione»/«compenetrazione» dei piani/nuclei cromatici e dalle luci interne che affiorano e quasi «sorridono»/ «guardano» come fossero occhi dalla penombra dei toni scuri (blu, amaranti, e neri); e dei trilli, abbellimenti di certo, dei tratti delicati delle nervature/colature. Difficile avvicinarsi all’ipotesi di identificazione del soggetto: quella più probabile mi sembra comunque rimanere «il paesaggio». È opera quasi sicuramente da mostra.

«Paesaggio (il tondo)», 1986 |Oli•136|

È chiaramente un paesaggio costruito su una emanazione di movimenti circolari sottolineati da linee verdi ed arricchito dalla presenza di motivi floreali/decorativi di sapore simbologico-architettonico (che mi sembrano voler ricordare i rosoni/frontoni delle migliori cattedrali romaniche italiane: se ne leggono chiaramente almeno due). Merita l’esposizione.

«Composizione» 1, 1986 |Oli•137|

Si tratta di un’opera non sufficientemente dissimulata e, quindi, risolta; troppo evidenti sono infatti quelle «unghiate» arcuate/curvilinee nella parte superiore del lavoro quasi a sottolineare un movimento di rotazione di una sfera trasparente (o di uno scudo/vetro circolare). Ritorna infatti evidente in quest’opera il tema delle trasparenze/dei riflessi. Bella, come nella maggior parte dei casi, la tavolozza cromatica e la digressione/lo sfumato dei toni.

«Composizione» 2, 1986 |Oli•138|

Il soggetto pare ricondursi comunque, nonostante il titolo, al tema dell’albero, scarnificato questa volta, e tuffato nel cielo (prevalenza di verde, blu e rosa). Opera bellissima e forte, indispensabile per la mostra.

«Alberi», 1986 |Oli•139|

La tavolozza di Valeria qui ritorna alla predominante dei toni rosa e verdi, appena solcati dagli azzurri, con un riassunto/sintesi dato da tre strisce ritmicamente scandite che strutturano la parte bassa dell’opera. Sono alberi, che però, in virtù del movimento arioso/arcuato e di una «prospettica» apertura su un angolo di 30°, mi sembrano richiamare la semiapertura alare di figure angeliche in movimento danzante. C’è poi da notare che il tutto potrebbe essere geometricamente ricondotto anche a un modello compositivo organizzato intorno alla figura di un cono rovesciato in rotazione. L’opera potrebbe andare in mostra.

Regata, 1990 (senza titolo) |Oli•142|

Mi sembra che ci si trovi di fronte ad una scomposizione/gioco di scomposizione del/sul paesaggio condotto a partire da un asse/centro quasi centrale: l’asse che attraversa/corre lungo quel fiore/sfera collocato al centro leggermente spostato a sinistra. Da quell’asse si propagano, come estratte da una serie di movimenti concentrici aperti (non chiusi) tante finestre, che altro non sembrano che altrettante quinte di paesaggi – o di loro frammenti – incastrati l’uno nell’altro. Pezzo difficile ma estremamente affascinante. Potrebbe andare in mostra.Æ tav. xiii

«Glendalough n 1», 1990 |Oli•143|

È il primo dei lavori che compongono la serie ispirata dal viaggio in Irlanda. Rispetto a «Glendalough n 3» (|Oli•144|), appartenente alla serie, la pittura qui è più densa, mai acquarellata, anche se pure qui convive con la «pienezza di luce» e un «delizioso movimento verso l’astrazione» ancor più dichiarata in questo caso specifico. Tra i toni, che sono sempre accesi, predominano il rosso purpureo/carminio come campitura e come segnature. Il motivo/soggetto potrebbe essere ancora una volta quello delle vele, immaginato dalle macchie rosse e dai movimenti delle linee che attraversano e sulle quali si struttura l’articolazione del quadro. Insieme con le altre opere della serie reperite è indispensabile per la mostra.

«Glendalough n 3», 1990 |Oli•144|

Paesaggio stranito, pieno di luce e deliziosamente astratto, che reca un bellissimo movimento a scendere e a placarsi/pacarsi (idea di riposo) verso il basso. Stupende le linee marcate, ma non invadenti – che sembrano quasi assumere i toni della trasparenza o subirla – degli alberi, che per questo potrebbero però anche risultare gli elementi di un canneto. Straordinaria la delicatezza con la quale convivono i toni cromatici accesi e le digressioni «acquarellate» delle campiture pastello (rosa, azzurro/celeste). Il lavoro dovrebbe appartenere ad un ciclo di opere ispirate/suggestionate dal viaggio effettuato in Irlanda in quel periodo. Sicuramente da esporre.

«L’albero», 1991|Oli•145|

È un pezzo dalla forza straordinaria, di grande temperamento, per nulla guastato dalla sottile ascendenza di Sutherland. È probabilmente un albero (platano) del paesaggio bassa Provenza, stagliato su una bicampitura di rosso e di giallo. Mi sembra indispensabile per la mostra.

Controluce, 1991 (L’albero) |Oli•146|

È sicuramente un albero, avvicinabile a «L’albero» (|Oli•145|), forte ma dove la rabbia sembra voler essere nascosta da un accenno di narcisismo tecnico. Netta, come nel precedente, la sottoposizione di campiture ben delineate (questa volta tripartizione bianco, rosa, giallo). Utile per la mostra.

«Riflessi», 1991 |Oli•147|

Pezzo di impervia lettura, quasi indecifrabile. Non si capisce quale sia l’elemento percettivo che innesca la riflessione e costituisce il soggetto della visione anche cromaticamente e sul piano della stesura della materia pittorica mi sembra un po’ «sordo», thick; eppure Valeria lo aveva licenziato, e forse anche esposto (come dimostrato dall’etichetta autografa con titolo e misure sul bordo destro del listello). Che cosa sono quelle linee/strutture che lo percorrono?

«Notturno», 1991 (Sfera nera?)|Oli•148|

È l’immagine di un caos notturno (v. la sfera diffratta, nera, al centro) difficilmente risolubile/ricomponibile? Pezzo enigmatico, inquietante, di difficile interpretazione. Nella parte superiore – e in parte anche in quella inferiore – si incontrano peraltro intarsi di bei giochi cromatici.

«Spartacus n 1», 1992 |Oli•149|

Mi pare essere davanti a un pezzo più duro del solito, rabbioso, caratterizzato da un segno pittorico più rapido e nervoso. Probabilmente si può leggere tra le righe l’urgenza di ricercare qualcosa di diverso da quanto fatto e trovato nella seconda metà degli anni Ottanta. La consueta tavolozza cromatica di Valeria qui viene polverizzata, dispersa all’interno di due campi blu notte e bianco (una sorta di controtextura). Il segno mi pare incontrare, nella mai sopita, e non sempre ben celata, voglia di scultura il linguaggio e lo stile segnico di Garelli, anche se forse Valeria manco lo conosceva. In questo lavoro intravvedo proprio tutta la forza, e forse anche la folle e tenace caparbietà, di Spartacus, appena contrappuntata da dorature più classiche, apollinee.

Alba sugli alberi, c. 1992
(senza titolo)|Oli•151|

Potrebbe trattarsi dell’ultima opera alla quale Valeria ha messo mano nel corso del 1992. Sembra un’opera non del tutto finita; a riprova, il fatto che non è firmata. Il soggetto è comunque affascinante, anche se mi pare già praticato/presente in almeno un altro lavoro; si tratta secondo me di un albero che contorna/scontorna una finestra di luce accecante segnata/solcata da una verticale di non chiara riconducibilità figurale. Consueta la tripartizione di toni cromatici: in questo caso blu, verdi e rosa lattiginoso.

«Composizione n 1», 1992|Oli•152|
«Composizione n 2», 1992 |Oli•153|

Si tratta di un’opera strettamente legata con quella a titolo «Composizione n 1» (|Oli•152|) In entrambe ci troviamo di fronte a forme e piani, che puntano a divenire volumi, che anticipano il salto/la rottura anticipata con i due lavori Spartacus e compiuta con la trilogia Stones. L’impressione è quella di un paesaggio che si scompone e galleggia su un fondo algido, color ghiaccio. La pittura di Valeria diventa qui più rarefatta, essenzializza la propria eleganza e nel contempo l’atmosfera si raffredda… Ma potremmo anche trovarci di fronte di un paesaggio di bandiere o di strani aquiloni, appena mossi/quasi congelati in un’alba d’inverno. L’opera potrebbe essere da mostra (almeno una delle due che compongono il dittico tematico). Æ tav. xiv

«Stones n 1», 1993 |Oli•154|

In questa, come nelle altre due opere (|Oli•155| e |Oli•156|), il discorso diventa, a mio avviso, più confuso e non completamente risolto. Mi sembra di intravedere il tentativo da parte di Valeria di volgere il proprio linguaggio verso cifre e segni di matrice “surreale” (la pietra, le suture, la costruzione simil scultorea delle masse…). Mi riesce comunque difficile, al momento, penetrare l’essenza del quadro: ad esempio che senso ha quella linea/sciabolata di giallo luce che solca la superficie in leggera obliqua sul lato sinistro del lavoro?

«Stones n 2», 1993 |Oli•155|

Ancora più chiaramente che nel caso di «Stones n 3» (|Oli•156|) mi viene spontanea la domanda: «Che cosa sono/indicano/significano le stones dei titoli?». Davanti a queste forme tento di dare spazio/sfogo alla fantasia e all’immaginazione: mi pare di poter vedere un pesce nella forma superiore, come riflesso specularmente (in forza di uno specchio d’acqua?) dalla sagoma inferiore (non però con l’esattezza del rovesciamento simmetrico: c’è spazio per «diffrazione» e imperfezioni). I colori mi sembrano ora più che mai legittimati da scelte e criteri di ordine significante, soprattutto sul fronte di un rinnovato/discusso equilibrio/contrasto luce ed ombra. La tecnica alla quale è sottoposto il medium spazia dalla stesura più asciutta ad un esito assai vicino alla gouache. Come già per il precedente le forme contengono echi, in questo caso un po’ meno evidenti delle cifre segniche di Garelli. Essenziale per la mostra.

«Stones n 3», 1993 |Oli•156|

C’è qualcosa di criptico e per certi versi misterioso in questo lavoro come in quelli coevi, soprattutto per quanto riguarda gli Stones. L’impressione è che sulla consueta tavola cromatica, ulteriormente alleggerita e resa più delicatamente solare, galleggino o si incidano/si imprimano forme e segni che richiamano i grafismi di Garelli (delle opere su carta). Ritornano prepotenti e forse incontrollate la matrice e la lezione del linguaggio scultoreo e plastico (forse mai del tutto sopita)? Si tratta di opere indubbiamente significative e molto belle, dato il perfetto equilibrio compositivo. Essenziale per la mostra. Æ tav. xv

«Composizione n 1», 1993|Oli•157|

Siamo negli anni in cui il linguaggio si volge senza più mezzi termini, in maniera dichiarata, verso un tipo di astrazione lirica e delicata. In particolare ci troviamo di fronte a quel periodo, l’ultimo, nel quale le linee e i segni incominciano a muoversi (diventano «tremolanti»: effetto dato dall’impiego di tecnica acquarellata o chinata?) creando un effetto di maggior trasparenza e «vulnerabilita» dei campi e delle «figure», quasi la superficie della tela si volgesse a diventare un cielo fantastico di aquiloni in volo. Opera degna di mostra.

«Composizione n 2», 1993|Oli•158|

Quest’opera è incantevole. Il cielo è ancora un cielo d’inverno, ma assolutamente lirico, poetico fantastico e liberatorio. Le forme triangolari che lo intessono e lo movimentano con i loro colori, ancora una volte dipinte con un’eleganza davvero superiore, compaiono come trasposizioni evanescenti e magiche/stilizzate di rami e foglie di alberi, scarni e rarefatti e votati a una naturale propensione verso l’alto. Mi sembra un lavoro che riprende una struttura compositiva e una sagomatura già praticata in passato ma ora raffrontata con il piacere e l’azzardo del visualizzare/trovare/incontrare/dipingere nuove emozioni, nuove sensazioni, nuove magie pittoriche. L’opera è, per la sua intrinseca eleganza ed essenzialità rigorosa ma pur sempre assolutamente morbida, da mostra. Æ tav. xvi 

«Senza titolo (vascello)», 1993 |Oli•161|

Si tratta di un’opera bellissima, leggera, magica ed intensa al tempo stesso. In quest’opera tutto si muove e sembra voler venir fuori dallo spazio angusto nel quale si trova confinato: il cielo rosa con le sue verminosita, così come il mare verde con il volume dei suoi flutti; e poi quel vascello, così sinteticamente e classicamente delineato, un vascello fantasma che corre/solca questo turbine di tocchi e colori. Ci sono poi tre, quattro linee (1 blu, 1 rossa e 2 verdi) quasi a voler richiamare un’attenzione rispetto alla quale il vascello potrebbe risultare dissimulato. Indispensabile per la mostra.

«Fantasia n 1», c. 1993 |Oli•163|

L’opera potrebbe collocarsi nei mesi a cavallo tra il ’93 ed il ’94; si vedano i richiami segnici esistenti tra questo e «Fantasia n 2» (|Oli•164|) e le opere su carta eseguite nelle ultime settimane di lavoro. L’opera, più ancora di quella seguente, contiene tracce segniche di un decantato «surrealismo»/«simbolismo» mattiano (da Matta). Il soggetto: sono prue di navi, solo sagome vuote e incrociate? Sono comunque chiari i rimandi interni con l’altra opera, assai simile per textura segnica e cromatica e struttura compositiva, tanto da far ipotizzare che si tratti di due opere volte verso un medesimo fine. Curioso e forse significativo il movimento ascendente in entrambe. Bellissimo in questa il quadrato blu, molto palpitante, in basso a sinistra.

«Fantasia n 2», c. 1994|Oli•164|

Come già si diceva sopra (v. «Fantasia n 1», |Oli•163|), quest’opera risponde ad un’esigenza compositiva molto simile, in alcuni particolari oserei dire addirittura identica: coperture cromatiche che nascondono elementi coincidenti, campi di colori che ritornano con identiche partizioni. I segni e le forme mi paiono quelle che caratterizzano l’ultimo periodo. Impervio però decifrare il soggetto: all’ipotesi avanzata sopra aggiungerei quella meno «compromettente» dei fiori. Belli qui, come sopra, quei colpi/segni «tattili» di rosso. Negli ultimi tempi Valeria era approdata ad un linguaggio segnico e ad un modo di materializzare e poggiare sulla superficie la pittura che la facevano sentire meno in conflitto/più in armonia con la grande passione degli inizi: la scultura. Anche qui sembra lasciarlo intendere.

«Senza titolo (notturno)», 1994|Oli•165|

È caratterizzata dal tentativo di emulare/imitare/ottenere attraverso il medium pittorico i risultati e gli effetti chiaroscurali e di trasparenze dei contemporanei lavori su carta dove sono raggiunti con l’impiego di tecniche miste che fanno largo uso dell’acquarello e dei riporti di carte veline. Il soggetto è costituito da due strutture, come legate da doppio filo azzurro e per certi aspetti di probabile conformazione speculare, piene di luce (rosa e gialla con reciproche intermittenze) tuffate in un denso e per lo più opaco cielo blu/verde notte. L’opera non mi sembra annoverabile tra quelle completamente risolte.

«Senza titolo (strutture n 2)», 1994 |Oli•167|

In quest’opera, come anche in «Senza titolo (strutture n 1)» (|Oli•166|), le tracce e i piani cromatici, la stesura pittorica si frantumano in maniera nervosa, quasi a voler sacrificare o comunque confondere le linee ed i segni che a questo punto le rimangono sottesi/sospesi. La pittura rimane cromaticamente affascinante, ma stilisticamente e compositivamente più impenetrabile. Qui mi sembra la prua di una nave che buchi uno spazio di paesaggio.

«Senza titolo (ovale)», 1994 |Oli•168|

Come nella tela «Composizione n 1» (|Oli•157|) le linee si muovono, le curve si incrociano e un’ipotetica forma/figura ovale sembra scomporsi o dilatarsi in una serie di riflessi/trasparenze che la muovono ed agitano sul piano. Anche la tavolozza sta cambiando: i toni accesi si alternano al campo bianco/ghiaccio, quasi un sudario/velario di non memoria e di stasi. Potrebbe andare in mostra.